Václav #65

24 gennaio - 7 febbraio

Il 65esimo appuntamento con Václav è ricco di politica estera. I confini orientali di almeno due dei quattro Paesi del V4 sono al centro del dibattito pubblico e la stabilità di tutta l’area dipende in maniera evidente da questo fattore. Le cose, tuttavia, non seguono un percorso coerente. Mentre la Polonia avvia i lavori di costruzione del famigerato muro su parte della frontiera bielorussa, la Slovacchia guarda con preoccupazione ai propri confini con l’Ucraina e si divide sulla possibilità dell’arrivo di un nuovo contingente Nato che farebbe esplodere un nuovo caso politico in parlamento. L’Ungheria mantiene il suo ruolo da battitore libero rispetto all’area e a tutta l’Europa con la visita di Viktor Orbán al Cremlino.

Non mancano i temi interni alla regione, come la risoluzione un po’ a sorpresa del braccio di ferro tra Varsavia e Praga sulle miniere di Turów o l’ennesimo triste caso di una donna polacca morta in seguito alle complicazioni della sua gravidanza e all’immobilismo dei medici, bloccati dalle recenti disposizioni legate all’aborto. Sempre in merito ai diritti delle donne, fa discutere l’attendismo del nuovo governo ceco sulla ratifica della Convenzione di Istanbul, rinviata addirittura di un anno.

Queste e altre notizie troverete in questa ricca edizione di Václav che contiene, come da amara consuetudine, un aggiornamento sulla situazione pandemica, ma si chiude con il gradito ritorno della nostra Terza pagina.  Ci sarà spazio per macchine volanti, cicogne di ritorno, identità morava e libri polacchi che conquistano l’America.

Buona lettura!

Punto Covid

I nuovi contagi segnalati nella Repubblica Ceca hanno fatto segnare un picco assoluto lo scorso 2 febbraio con più di 57mila nuovi positivi e sono in salita i ricoveri per casi gravi (2832 il 4 febbraio contro i 1730 della settimana precedente), segno che l’ondata dovuta alla variante omicron è al suo apice.

Nonostante ciò, o forse proprio in previsione di un calo, il nuovo governo di Praga è pronto ad allentare le restrizioni finora in vigore. Come annunciato dal premier Petr Fiala, dal 9 febbraio cesserà l’obbligo di esibire il certificato vaccinale (o di avvenuta guarigione) all’ingresso di bar e ristoranti e dal 18 febbraio non saranno più obbligatori i test periodici in scuole e aziende. Resta invece in vigore l’obbligo di indossare la mascherina al chiuso e il limite di accessi agli eventi pubblici. Un resoconto della situazione da Reuters.

Se da un lato allenta le restrizioni, dall’altro l’esecutivo si prepara ad avere le mani libere in caso di una nuova ondata. La camera bassa del parlamento sta infatti discutendo un provvedimento che permetterebbe al governo di ordinare restrizioni e chiusure senza dovere invocare lo stato di emergenza, e quindi senza la necessità di un passaggio parlamentare. Mentre la maggioranza difende il provvedimento, parlando dell’importanza di prendere decisioni tempestive, l’opposizione ci vede un passaggio di poteri all’esecutivo superfluo e pericoloso. Anche una parte dell’opinione pubblica ha reagito male, come dimostrano le foto diffuse da Radio Praga, installando davanti alla Camera a Praga sette forche a simboleggiare le libertà giustiziate dal governo.

Manifestanti che protestano contro il prolungamento delle leggi speciali sulla pandemia. Foto di Michaela Rihova, Ctk.jpeg

In Ungheria è stabile il numero di contagiati da covid-19, sotto i 20mila casi giornalieri, mentre quello dei decessi è risalito nel fine settimana sopra quota cento. Ferma al 37% della popolazione la somministrazione delle terze dosi, ma l'Ungheria è anche l'unico Paese Ue ad aver autorizzato la quarta dose per chi ne faccia richiesta, previo permesso medico. È una quarta dose in primis per gli over 60 vaccinati con Sinopharm, dopo che i laboratori ungheresi hanno evidenziato la sua modesta protezione contro la nuova variante. Rinviata per ora l'introduzione del super green pass, che sarebbe dovuta scattare dal 15 febbraio. Resterà valido per ora il certificato di immunità nazionale, consegnato l'anno scorso già una settimana dopo la prima dose. 

La variante omicron ha determinato l’abbattimento di tutti i record in fatto di nuovi contagi giornalieri in Slovacchia. Oltre 24mila i nuovi casi registrati il 3 febbraio. La buona notizia è che analogamente a quanto accaduto in altri Paesi, le ospedalizzazioni rimangono basse. Secondo il ministro Salute Vladimír Lengvarský, questa ondata sarà veloce, e al termine di essa potranno essere tolte alcune delle attuali misure di contenimento. Un quadro generale della situazione sanitaria viene presentato su Slovak Spectator.  

Intanto cambiano le regole di ingresso nel Paese. Da venerdì 4 febbraio la quarantena non sarà più obbligatoria per le persone vaccinate e per chi è guarito dal covid-19 negli ultimi 180 giorni. Chi non è stato vaccinato si vedrà invece ridotto il periodo di isolamento da 10 a 5 giorni, con la possibilità di porvi termine ancora prima, mostrando un test Pcr negativo. Ne dà conto Buongiorno Slovacchia.

Omicron determinante anche in Polonia, dove prosegue la quinta ondata di coronavirus. Il picco di nuovi contagi quotidiani si è raggiunto il 28 gennaio con circa 58mila casi, primato assoluto da quando è iniziata la pandemia. Nelle ultime due settimane, invece, sono calati i decessi, che comunque fanno registrare circa 300 vittime al giorno: numeri ancora preoccupanti. La percentuale della popolazione vaccinata con due o più dosi resta stabile, al 58%.

Il 25 gennaio il governo ha deciso di reintrodurre la didattica a distanza obbligatoria per tutti gli studenti della scuola dell'obbligo dai dieci anni in su. Durerà fino a fine febbraio, quando la fase più critica della quinta ondata dovrebbe essere alle spalle. Due giorni dopo l'esecutivo ha inoltre lanciato un programma per consentire di effettuare tamponi antigenici per il covid-19 gratuitamente in farmacia. Tuttavia, una settimana dopo solo l'1,5% delle farmacie del Paese ha aderito all'iniziativa, che non ha attecchito per svariati motivi, non ultimo la mancanza di spazi da dedicare ai test negli esercizi.


Ungheria

Orbán in visita a Mosca
Mentre la maggior parte dei leader europei si reca in Ucraina per cercare di allentare le tensioni nella regione, Viktor Orbán, è volato martedì 1 febbraio a Mosca in visita a Vladimir Putin. Un incontro proficuo per entrambi: il leader russo ha potuto dimostrare di non essere isolato nel campo occidentale e il premier ungherese sfrutterà l'occasione per lanciare la campagna elettorale per le imminenti politiche. Si è trattato del dodicesimo incontro tra i due da quando Orbán è tornato al governo nel 2010.

Secondo il politologo Péter Krekó, intervistato dal  New York Times  Orbán agisce nella sostanza come uno strumento della diplomazia russa, mentre il Financial Times si stupisce dell'equilibrismo del premier magiaro, capace in questi anni di rimanere amico di Mosca e fedele all'alleanza occidentale. Osserva Politico che i due hanno voluto mostrarsi fisicamente a grande distanza tra loro sia nel corso della conferenza stampa che durante i colloqui, dove erano ai due punti più lontani di un tavolo negoziale incredibilmente lungo. Al centro dell'incontro i temi energetici, spiega le Monde, con  l'Ungheria che conferma  un accesso al gas naturale cinque volte più conveniente di quello che comprerebbe sul mercato europeo, ma ancora non raggiunge l'accordo sull'aumento delle forniture. 

Causa collettiva per Pegasus
Hanno deciso di muovere azione legale comune contro lo Stato ungherese i quattro giornalisti ungheresi (Brigitta Csikász, Dávid Dercsényi, Dániel Németh e Szabolcs Panyi) vittime di intercettazioni tramite lo spyware Pegasus. Il Guardian racconta che la causa verrà intentata con l'assistenza dell'Ong Tasz, Unione ungherese per i diritti civili, e si concentrerà sul dimostrare il controllo diretto dei servizi segreti da parte del governo ungherese. I legali sono consapevoli che in casi simili la magistratura tende a dar ragione allo Stato, ma puntano a far emergere le responsabilità del governo e vogliono che la causa diventi un modello per le vittime di sorveglianza in altri Paesi.  

Ungheria contro Soros: una battaglia di civiltà
Con una lunga lettera sull'edizione americana di Politico, Viktória Serdült commenta il nuovo documentario di Tucker Carlson, anima di Fox News, dal titolo eloquente: “Hungary vs. Soros: Fight for Civilization.” L'Ungheria rappresentata da Tucker è un paradiso conservatore caratterizzato da solide politiche per la famiglia, che ha risolto del tutto il problema dell'immigrazione innalzando muri, mentre George Soros, che nel video compare sempre in bianco e nero, fa la parte del cattivo, intento a spendere miliardi per abbattere i confini nazionali e lottare contro l'Occidente. In realtà, osserva Serdült, l'immigrazione non figura tra i primi cinque problemi degli ungheresi, neanche per i sostenitori di Fidesz, e la lotta contro Soros è in Ungheria una battaglia stantia del passato, ma servirà a dare nuovo sostegno a Orbán in una campagna elettorale in cui l'Ungheria è diventata una testa di ponte che l'internazionale sovranista non può rischiare di perdere dopo Austria, Israele e Stati Uniti.

Scuola in sciopero
Il mondo della scuola ungherese ha incrociato le braccia lunedì 30 gennaio per le prime due ore di lezione. Non sono poche: l’ultima astensione dal lavoro dei professori, anche allora di sole due ore, risaliva a cinque anni fa e lo sciopero è tecnicamente molto difficile da attuare in Ungheria per la sua severa regolamentazione. Difatti è avvenuto dopo giorni di guerra di carte bollate e senza autorizzazione del ministero. I sindacati chiedono il ritorno alle 24 ore settimanali di aula, aumenti salariali e la fine della centralizzazione dell’istruzione. Il sindaco di Budapest, il liberale Gergely Karácsony, ha espresso la sua solidarietà allo sciopero, anche in qualità di marito di un’ex insegnante. Ne parla Euroactiv.


Slovacchia

Echi di guerra
Una guerra tra Russia e Ucraina avrebbe importanti ripercussioni anche per la Slovacchia, che con quest’ultima condivide 97 chilometri di confine. Lo Slovak Spectator ha presentato alcuni possibili scenari. Uno di questi vedrebbe l’ingresso di migliaia di persone nel Paese per cercare rifugio.  

Un risvolto a breve termine causato dalla crisi, potrebbe essere l’aumento della presenza militare. Secondo Sky News la Nato starebbe sta valutando l’invio di contingenti da 1000 soldati in diversi Paesi della regione, e tra questi c’è la Slovacchia. Il ministro della Difesa, Ivan Korčok, ha confermato l’indiscrezione, precisando però che servirebbe l’approvazione del governo e del parlamento. La puntualizzazione è necessaria, dal momento che l’ultimo mese è stato caratterizzato da un aspro scontro politico causato dall’accordo di cooperazione sulla difesa tra Slovacchia e Stati Uniti, che prevede la concessione gratuita di alcune basi militari all’esercito americano. La firma del trattato, è avvenuta il 3 febbraio a Washington, dopo il placet della presidente Zuzana Čaputová. Il passaggio in parlamento per la ratifica è tuttavia atteso solo per il giorno 8. Ne scrive lo Slovak Spectator.  

I risvolti della crisi ucraina rischiano di agitare ancora di più l’opinione pubblica. Più del 44% degli slovacchi ritiene che i maggiori responsabili delle tensioni siano gli Stati Uniti e la Nato. Solo il 34% pensa che la colpa sia da addebitare alla Russia. Lo rivela un sondaggio condotto dall’agenzia Focus e riportato da Euractiv.  

Corruzione, un problema irrisolto
La corruzione è un problema che da anni è ormai diventato endemico in Slovacchia e che puntualmente deve essere affrontato dai diversi governi che si susseguono. Una nota positiva arriva dall’Indice della corruzione percepita, dove è stato registrato un miglioramento di quattro posizioni rispetto al 2021. La Slovacchia si posiziona ora al 56esimo posto su 180 Paesi valutati. Un risultato positivo, ma ancora una volta uno dei più bassi tra i Paesi dell’Unione europea: solo Grecia, Croazia, Romania, Ungheria e Bulgaria hanno fatto peggio. Via Slovak Spectator.   

Proprio in questi giorni il Consiglio d’Europa ha presentato il quinto rapporto del Gruppo di stati contro la corruzione (Greco). Ne emerge che la Slovacchia non ha attuato 16 delle 21 raccomandazioni fatte nel 2019 dallo stesso organo, due sono state applicate in modo soddisfacente, mentre tre solo parzialmente. Su Buongiorno Slovacchia.  

L’auto volante è quasi realtà
Era il 2016 quando il professor Stefan Klein fondò la Klein Vision e iniziò a lavorare al suo progetto di auto volante. Sembrava il sogno di un visionario, invece ora l’AirCar sta per diventare realtà. Dopo 70 ore di volo e 200 tra decolli e atterraggi, l’autorità dei trasporti slovacca, ha conferito all’invenzione di Klein il certificato di idoneità al volo. Il suo creatore spera di riuscire a farla viaggiare da Parigi a Londra nel prossimo futuro.  

Il prototipo dell’AirCar è quello di un’auto da corsa a due posti, dotata di un motore a combustione Bmw a quattro cilindri da 140 cavalli. Può raggiungere una velocità di crociera in volo di 180 km/h (115 km/h al decollo) e di 160 km/h su strada. La notizia ha avuto ampia eco internazionale. Il servizio di New Atlas

Una foto del prototipi condivisa dal produttore, Klein Vision


Polonia

Il muro che divide
Gli iscritti alla nostra newsletter Magda lo hanno letto nell'ultima edizione: da qualche giorno è iniziata la costruzione del muro 'anti-migranti' che corre lungo 186 chilometri del confine fra Polonia e Bielorussia, quelli non delimitati dal fiume Bug o da terreni paludosi. La barriera costerà 350 milioni di Euro ed è ritenuta un'opera difensiva prioritaria dal governo di Varsavia per arrestare definitivamente un flusso di profughi da oltreconfine, che è rallentato notevolmente nelle ultime settimane. In Italia ne scrive Avvenire

La costruzione del muro porta con sé questioni etiche e morali legate al diritto d'accoglienza dei rifugiati, ma anche preoccupazioni di carattere ambientale. La barriera fortificata che sta venendo eretta lungo la frontiera potrebbe avere un impatto devastante sulla flora e sulla fauna dell'ultima foresta vergine d'Europa, Białowieża, che si estende per tre quarti sul versante polacco e per un quarto su quello bielorusso del confine. La foresta, che ospita gli ultimi duemila esemplari di bisonte europeo, è protetta dall'Unesco, ma rischia ora di perdere lo status di patrimonio mondiale dell'umanità. Di questo aspetto si occupano Politico e Kafkadesk.

Il 'safari' alla frontiera
Internazionale, invece, ha tradotto un reportage di Marcin Kołodziejczyk del settimanale polacco Polityka. Il giornalista ha partecipato a una delle visite autorizzate dal governo di Varsavia all'interno della zona in stato d'emergenza nella fascia larga tre chilometri lungo il confine con la Bielorussia. Un'area interdetta a media e associazioni umanitarie sin dal 3 settembre 2021. Da dicembre gli organi d'informazione possono inviare una richiesta d'autorizzazione alle autorità per accedervi. Qualora venga concessa, la visita alla zona rossa dura poche ore e viene effettuata all'interno di convogli militari. Vige il divieto di scattare fotografie non autorizzate a persone o cose, così come di intervistare residenti e migranti. Ecco perché molti giornalisti la definiscono 'safari'.   

Il divieto d'aborto uccide
Nuova ondata di proteste contro l'attuale legislazione sull'aborto - la più restrittiva in Europa - nelle ultime due settimane nelle strade delle maggiori città polacche. A riaccendere il dissenso è stata la scomparsa di un'altra partoriente, avvenuta nel dicembre scorso. Agnieszka T. aveva 37 anni ed era incinta di due gemelli. Nonostante alcune gravi complicazioni, che avevano ucciso uno dei due feti da lei portati in grembo, i medici dell'ospedale di Częstochowa avevano deciso di non praticare un aborto, ma di tergiversare, interpretando in maniera rigidissima la legislazione sul tema. Solo quando anche il cuore del secondo feto ha cessato di battere, si sono decisi a intervenire; ma era ormai troppo tardi e Agnieszka T. è deceduta per setticemia. L'articolo del Post.  

Intanto, proprio nei giorni delle proteste di piazza, nelle vie di Varsavia sono riapparsi alcuni furgoncini che inneggiano al 'rispetto della vita', mostrando sulle fiancate immagini di feti e diffondendo propaganda anti-abortista da altoparlanti. Sono pagati da associazioni 'pro-life' e la loro presenza lungo le strade della capitale in teoria non è autorizzata. Tuttavia la polizia li lascia circolare indisturbati. Di recente, come già era accaduto in passato, questi furgoncini e i loro conducenti sono stati presi di mira dalla popolazione, esasperata dalla loro presenza. Una deriva violenta in risposta a una provocazione di pessimo gusto, ma che non aiuta il dialogo sul tema. Il racconto di Notes from Poland

Lo scisma di Ordo Iuris
E a proposito di divieto de facto all'aborto, fra i principali promotori dell'attuale e di un precedente - poi non concretizzatosi - giro di vite sul diritto alle interruzioni di gravidanza vi è Ordo Iuris. Si tratta di un'organizzazione ultracattolica 'pro-life' che da anni si batte non solo sulla restrizione all'accesso all'aborto, ma anche per la difesa della famiglia tradizionale e guarda con scarsa simpatia al rispetto dei diritti Lgbtq+.  

Vicina alle posizioni del governo - e sostenuta da esso - Ordo Iuris è divenuta molto potente in Polonia, aprendo persino un proprio ateneo privato - il Collegium Intermarium - nell'ottobre scorso. Oggi, tuttavia, all'interno dell'organizzazione è in corso uno scisma legato a uno scandalo sessuale extraconiugale che ha coinvolto il suo ormai ex vicepresidente, ed ex rettore di Collegium Intermarium, Tymoteusz Zych. La situazione ha portato lui e una decina di altri membri di Ordo Iuris a lasciarla, per fondare una propria organizzazione parallela. Via Gazeta Wyborcza in inglese.

Accordo con Praga su Turów 
A sorpresa, dopo mesi di negoziazioni, i governi di Praga e Varsavia hanno trovato un accordo sulla miniera di lignite di Turów, in territorio polacco ma in prossimità della frontiera ceca. Si tratta di un accordo che scontenta molti, non ultimi i residenti del lato ceco del confine - che sostengono di non essere stati avvisati per tempo - e le istituzioni di Bruxelles. La Commissione europea potrebbe decidere di bloccare ugualmente il pagamento dei fondi comunitari a Varsavia, visto il suo rifiuto di pagare i 500mila euro di sanzione quotidiana comminata per Turów e il cui totale ammonta oggi a 68 milioni.

Tuttavia, il 3 febbraio il nuovo governo di Petr Fiala a Praga ha accettato una compensazione di 45 milioni di euro da parte di Pge, l'azienda energetica pubblica polacca che gestisce la miniera, per chiudere la vicenda. Il che si traduce in un esborso economico inferiore per la Polonia. Praga ha deciso inoltre di ritirare la propria causa su Turów, aperta presso la Corte di giustizia dell'Ue. La causa era stata aperta quando la Polonia aveva deciso di tenere aperto l'impianto - inquinante per le falde acquifere della zona - fino al 2044 nonostante le opposizioni di Praga e Bruxelles. Gli ultimi, decisivi, sviluppi su Notes from Poland e su Emerging Europe


Repubblica Ceca

Rallenta la Convenzione di Istanbul
Il provvedimento che darebbe al governo di Praga grande autonomia per l’introduzione di restrizioni anti-pandemiche non è l’unico che ha fatto storcere il naso di osservatori e cittadini cechi. Il ministro della Giustizia, Pavel Blažek, infatti ha recentemente dichiarato che proverà a posticipare il dibattito parlamentare sulla ratifica della convenzione di Istanbul almeno a gennaio del 2023. La Convenzione di Istanbul è il più famoso e importante trattato internazionale contro la violenza domestica e le molestie sessuali, ed è stata firmata dalla Repubblica Ceca già nel 2016, ma i suoi punti non sono mai stati ratificati a livello parlamentare e dunque non hanno cambiato di una virgola il codice civile ceco in materia.

Spesso osteggiata dagli ambienti conservatori internazionali come un attacco alla famiglia tradizionale, la Convenzione di Istanbul rischia di essere un punto sul quale la nuova coalizione governativa guidata da Petr Fiala potrebbe trovarsi con la coperta troppo corta. Il nuovo premier è infatti alla guida di un partito dichiaratamente conservatore, ma allo stesso tempo apertamente favorevole all’allineamento di Praga ai valori e gli standard occidentali. Tra i quali, la convenzione di Istanbul è un punto fermo. Come conciliare le cose? Un approfondimento su Kafkadesk

Zeman invita alla calma sulla questione ucraina
A seguito di una cena di lavoro con il premier Fiala, il presidente della Repubblica Miloš Zeman avrebbe consigliato moderazione e prudenza in merito alle tensioni sul fronte russo-ucraino che preoccupano alcuni Paesi della regione. Zeman, che in patria è considerato un politico con buoni contatti con Mosca, si dice sicuro che la situazione di crisi si manterrà su un livello teorico e non sfocerà in un conflitto armato. Fiala a sua volta ha detto di preferire senz’altro una soluzione diplomatica del caso. Lo segnala Radio Praga

Su i tassi contro l’inflazione
La banca centrale ceca ha deciso di aumentare i suoi tassi d’interesse portandoli al 4,5%, il valore più alto degli ultimi vent’anni. Il provvedimento, secondo Associated Press previsto dagli esperti, ha l’obiettivo di tamponare gli effetti dell’inflazione che, assieme all’aumento dei costi dell’energia, sta avendo un’influenza consistente sulla capacità di spesa dei cittadini cechi. La scelta della Banca centrale ceca è in controtendenza rispetto a quella della Banca centrale europea che ha stabilito invece di mantenere i suoi tassi invariati per l’Eurozona, confidando nel fatto che l’inflazione diffusa sarà un fenomeno passeggero destinata a crollare già entro quest’anno. Ancora una volta, le politiche monetarie differenti tra eurozona e altri paesi dell’Ue fanno segnare una differenza di piano tra i Paesi dell’Unione.

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Terza pagina

Moravia, orgogliosa identità
Quando nel X secolo due monaci bizantini partiti da Salonicco con la missione di evangelizzare i popoli slavi insediatisi nelle pianure pannoniche e oltre, in quelle terre regnava il principe Svatopluk. I monaci in questione erano quelli che oggi conosciamo come santi Cirillo e Metodio, e il regno di Svatopluk è riportato alle cronache come Grande Moravia. La Moravia di oggi, come accade a tutto ciò che in queste terre la storia ha chiamato Grande, è ben più piccola e ridotta. Corrisponde alla regione più orientale dell’attuale Repubblica Ceca. È una regione che per molti secoli ha mantenuto autonomia amministrativa e culturale, molto smorzata con la nascita della Cecoslovacchia socialista.

Ancora oggi, sebbene senza pulsioni autonomiste o indipendentiste degne di nota, questa regione si sforza di sottolineare la propria cultura distinta da quella boema e ceca. Circa 360mila cittadini cechi residenti in Moravia si sono dichiarati “moravi” all’ultimo censimento, un dato importante anche se in recessione rispetto al circa mezzo milione dell’ultima consultazione di un decennio fa. Il sito di Euronews offre un interessante viaggio tra le differenze culturali e storiche tra Moravia e Boemia. Differenze che riguardano la lingua e la religione, ma anche le dispute su quali bevande devono riempire calici e boccali nei giorni di festa. 

Al Sundance il film ‘Mansueto’ 
Al Sundance Film Festival è stato protagonista il cinema indipendente ungherese con la coppia composta da László Csuja e Anna Nemes, che hanno presentato nella sezione World Cinema Dramatic la loro opera dal titolo ‘Szelid - Mansueto’. Il film - qui il trailer - racconta le vite di Edina, Ádám e dell'ambiente dei bodybuilder, persone emarginate dal resto della società perché diverse, innanzitutto nel corpo, che diventa un mondo in cui chiudersi in sé stessi. Il culturismo arriva ad assumere i canoni di una comunità religiosa, basata sul controllo meticoloso del proprio corpo. Ne parlano gli autori in un'intervista su Cineuropa 

Il ritorno delle cicogne
Anche quest'anno, Kele è stata la prima cicogna a ritornare in Ungheria, occupando quello che per anni era stato il posto di suo padre lì in cima al palo accanto alla chiesa di Vörs. Sono quasi vent'anni che le cicogne sono l'attrazione di questo paesino di 500 abitanti del piccolo Balaton, nel delta che il fiume Zala forma sulla punta occidentale del lago. La Kele attuale ha ereditato questo nome da quello della cicogna protagonista dell'omonimo libro di István Fekete, che frequentava questa stessa chiesa. È la storia di una giovane cicogna che rimane ferita e non può andare a svernare in Africa con il resto dello stormo. Dovrà cavarsela da sola in questo angolo dell'Ungheria rurale. La notizia e la foto di Kele appollaiata al suo posto, scattata dal vicensindaco di Vörs, su Hungary Today

Jakub conquista l’America
Dopo la vittoria del Booker Prize e del Premio Nobel, il successo di Olga Tokarczuk non si ferma. Persino in un mercato editoriale storicamente impermeabile alle traduzioni come quello anglofono, i romanzi della scrittrice polacca riescono a colpire i lettori. Forti del biglietto da visita di un’autrice così premiata, certo, ma anche dell’indiscussa qualità e varietà letteraria che riescono a portare nel panorama della narrativa internazionale. The Books of Jacob (in originale Księgi jakubowe, uscito in Polonia nel 2014), dopo l’edizione britannica curata da Fitzcarraldo Edition, è arrivata anche nelle librerie statunitensi per i tipi di Riverhead Books. La traduzione è la medesima, quella di Jennifer Croft, traduttrice ufficiale di Tokarczuk in inglese e scrittrice a sua volta. Dwight Garner sul New York Times ne fa una recensione ricca e generalmente entusiasta.  

Giornata della Memoria: lettere dalla Slovacchia
Come la maggior parte degli Stati alleati della Germania nazista, anche la Repubblica slovacca emanò dei provvedimenti fortemente persecutori nei confronti della popolazione ebraica. Il presidente Jozef Tiso fece emanare il cosiddetto “codice ebraico”, che portò alla deportazione di decine di migliaia di persone. Eppure lo stesso presidente aveva il potere di garantire una sorta di “grazia”. Si stima che poterono beneficiarne tra i 4mila e i 5mila ebrei. Una goccia nel mare, visto che rappresentava il 5% delle richieste, che venivano inviate via lettera. La storica Madeline Vadkerty è riuscita a raccogliere e ad analizzare centinaia di quelle missive. La storia è stata raccontata da Al Jazeera in occasione della Giornata della Memoria. 

L'espulsione dei tedeschi, un trauma rimosso
Il 25 gennaio 1946 il governo dell’allora Cecoslovacchia iniziava le operazioni di espulsione delle persone di etnia tedesca e ungherese dal territorio nazionale. Kafkadesk dedica un articolo a questo anniversario, ricordando come la comunità tedesca fosse presente nella regione da centinaia di anni. Il provvedimento fu preso sull’onda di un sentimento di rivalsa per il tradimento di Monaco del 1938, che portò prima all’annessione dei Sudeti da parte della Germania nazista e poi alla scomparsa della Cecoslovacchia stessa. Ancora oggi, sottolinea Kafkadesk, la deportazione di 3,5 milioni di tedeschi è un argomento che non viene affrontato volentieri in Slovacchia e Repubblica Ceca.

La foto di Kele appena tornata a Vörs, un simbolo vivente della cultura popolare ungherese.


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