Václav #66

8 - 22 febbraio

Gli spettri di un’offensiva militare russa che aleggiano da giorni sul Donbass preoccupano i Paesi di Visegrád, specie considerando che tre di loro - Polonia, Ungheria e Slovacchia - confinano con l’Ucraina. Timori divenuti reali il 21 febbraio quando Vladimir Putin ha riconosciuto unilateralmente l’indipendenza delle due repubbliche separatiste filorusse di Donetsk e Luhansk. Dichiarazioni che hanno preceduto di poche ore l’ingresso in queste due aree del Donbass di forze di ‘peacekeeping’ inviate da Mosca per difenderle dall’Ucraina alla quale, va ricordato, tuttora appartengono. Un’invasione mascherata che sembra preludere a un conflitto sempre meno evitabile.

Tutte le nazioni del V4 fanno parte della Nato e dell’Unione Europea, ma mentre Varsavia, Praga e Bratislava hanno ribadito sin dall’inizio la loro vicinanza a Kiev, Budapest lo sta facendo più timidamente, dato che Viktor Orbán non ha mai nascosto di avere buoni rapporti con Putin. Di fatto, al 22 febbraio, l’Ungheria resta l’unico Paese nell’Ue a non aver approvato le nuove sanzioni previste per la Russia. Per ora i quattro governi si preparano ad accogliere eventuali profughi ucraini e aprono all’arrivo di contingenti stranieri o basi militari, fra qualche polemica, come in Slovacchia. Intanto in Ungheria è cominciata la campagna elettorale in vista del voto parlamentare di aprile, mentre nella Repubblica Ceca iniziano le candidature per le presidenziali di gennaio 2023.

Sono notizie che troverete in questa nuova edizione di Václav, aperta proprio da un ampio focus sulla situazione in Ucraina vista dall’Europa centrale. Spazio anche a economia, cultura, musica e religione, mentre il consueto aggiornamento sulla situazione pandemica non è in apertura, ma nelle varie sezioni nazionali. Chiudiamo con lo sport, facendo un bilancio delle spedizioni ceca, polacca, slovacca e ungherese ai Giochi invernali di Pechino.

Buona lettura!


Crisi in Ucraina

Vista dalla Polonia, la tensione militare sul confine orientale dell’Ucraina suscita molta preoccupazione. I rapporti tra Varsavia e Kiev sono molto stretti ultimamente, nonostante alcune frizioni legate alla politica storica, e le persone di nazionalità ucraina sono di gran lunga il gruppo di emigrati più rappresentato nel Paese. Foreign Policy fa un resoconto molto dettagliato su come la Polonia sia anche diventata un modello per l’Ucraina nel desiderato (da alcuni) processo di occidentalizzazione.

Si segnala anche l’apertura totale, sia da parte della società civile che da quella delle istituzioni statali, all’eventuale arrivo di profughi dall’Ucraina spinti dalla guerra alle porte. Mentre va avanti il muro al confine con la Bielorussia, voluto per fermare l’ingresso di profughi in arrivo dal Medio Oriente e dall’Asia centrale, al confine con l’Ucraina si preparano punti di accoglienza e il premier Mateusz Morawiecki promette la creazione di una rete di servizi di prima necessità. Ne parla la Deutsche Welle.

Sempre da Deutsche Welle segnaliamo il resoconto della visita a Varsavia di Lloyd Austin, responsabile alla Difesa del governo statunitense, che ha annunciato il piano di vendere alla Polonia 250 nuovi carri armati Abrams. La redazione britannica di Sky News ha invece confezionato un reportage dalla regione polacca della Precarpazia, al confine con l’Ucraina, registrando il timore di parte della popolazione e la diffusa disponibilità ad accogliere profughi ucraini in fuga dall’eventuale invasione.

L’escalation nel Donbass preoccupa e allarma anche il governo della Repubblica Ceca, l’unico Paese dei V4 a non confinare con l’Ucraina. Al pari di Varsavia, Praga sostiene le posizioni di Kiev nella vicenda, come dimostrato anche dalla decisione di non evacuare le proprie sedi diplomatiche nel Paese. L’ambasciata ceca nella capitale ucraina opera con personale ridotto, mentre quella di Leopoli resta a pieno organico. Non è solo l’appartenenza del Paese alla Nato a determinare questa vicinanza con gli ucraini, ma anche la diffidenza nei confronti di Mosca.

Le divergenze con il Cremlino sono cresciute dopo un episodio ben preciso: l’esplosione di un deposito di munizioni avvenuta il 20 ottobre 2014 a Vrbětice, nel sud-est del Paese che causò due vittime e ingenti danni materiali. Praga ritiene che venne causata da agenti russi e negli ultimi due anni ha espulso numerosi diplomatici di Mosca in seguito alle indagini legate alla deflagrazione. Intanto Deutsche Welle rivela che molte delle munizioni in dotazione all’esercito regolare di Kiev sono fabbricate proprio nella Repubblica Ceca.

Per quanto riguarda le possibili ripercussioni indirette su Praga di un conflitto o di eventuali sanzioni comminate a Mosca, tiene banco la questione energetica. Sabato 19 febbraio il premier Petr Fiala ha detto che il suo governo non esclude una possibile interruzione di fornitura di gas russo. Lo riporta Radio Praga. Qualora questo dovesse verificarsi, la Repubblica Ceca confida che la crescita nell’approvvigionamento di gas naturale liquefatto (Gnl) possa mitigare l’impatto della dipendenza energetica da Mosca, come ribadisce il ministro degli Esteri, Jan Lipavský, su Reuters. Il suo vice, Martin Dvořák, ha invitato i civili cechi che vi risiedono a lasciare l’Ucraina in via precauzionale, mentre il primo ministro Fiala ha aperto alla possibilità di accogliere eventuali profughi ucraini.

La Slovacchia guarda con preoccupazione alla crisi in corso, anche alla luce dei 97 chilometri di confine e dei quattro valichi di frontiera che la separano dall’Ucraina. Il ministro dell’Interno, Roman Mikulec, ha dichiarato che verranno aumentate le capacità di accoglienza delle strutture a disposizione dell’Ufficio asilo e immigrazione per l’arrivo di eventuali rifugiati in fuga da una possibile guerra. Bratislava ha poi stanziato 1,7 milioni di Euro in forniture sanitarie e macchinari contro le mine per aiutare il governo di Kiev. Via Buongiorno Slovacchia. Agli slovacchi è stato inoltre raccomandato di non recarsi per alcun motivo in Ucraina, mentre le famiglie del personale diplomatico presenti nel Paese sono state evacuate. Dallo Slovak Spectator.

Sul fronte della Difesa si registra l’arrivo della prima parte di un contingente di duemila soldati Nato, che prenderà parte a delle esercitazioni nella città di Zvolen, insieme a 1300 militari slovacchi, nelle prime due settimane di marzo. Lo riporta Reuters. Al clima di tensione si ricollega in maniera indiretta anche la crisi politica e pubblica collegata al Trattato di cooperazione alla difesa firmato con gli Stati Uniti, a cui diamo ampio spazio nella sezione nazionale.

La crescita della tensione in Ucraina – con la quale condivide 137 chilometri di confine – ha costretto l'Ungheria ad allinearsi alla Nato. Una posizione già tenuta dal premier Viktor Orbán nel suo incontro con Putin di inizio mese, scrive Project Syndicate. Tuttavia, il Guardian, riferisce che quello di Budapest sarebbe l’unico governo nell’Ue a non avere ancora approvato il pacchetto di nuove sanzioni economiche predisposto nei confronti della Russia. Una titubanza, quella ungherese, che tradisce interessi energetici e geopolitici.

Nei fatti è imminente l'annuncio dell'invio in Ungheria di 200 soldati statunitensi e di veicoli da combattimento Stryker, riporta Nbc, contraddicendo le dichiarazioni del ministro degli Esteri, Péter Szijjártó, che ha sempre smentito l'arrivo di truppe straniere nel Paese. Intanto il 22 febbraio il ministro della Difesa, Tibor Benkő, ha annunciato che soldati ungheresi verranno inviati a presidiare il confine del Paese con l’Ucraina L'Ungheria manifesta insomma la fragilità di una politica estera che in questi anni ha cercato di distinguersi per l'equilibrismo tra l'appartenenza storica all'Alleanza atlantica e all'Ue e le sirene russe e cinesi, confermate dalle politiche di "apertura ad est" dei governi Orbán.

In un ampio approfondimento, Visegrad Insight evidenzia la delicatezza per l'Ungheria del quadro ucraino incentrato sulla difesa della numerosa comunità ungherese della Transcarpazia, la regione ucraina con capoluogo Užhorod. per i quali, in caso di conflitto, il ministero della Difesa ha già pronti i piani di assistenza o evacuazione, e sull'approvvigionamento di gas, che arriva in Ungheria principalmente  attraverso il gasdotto austriaco Baumgarten, a sua volta però rifornito tramite l'Ucraina.

L’incontro fra Vladimir Putin e Viktor Orbán di inizio febbraio al Cremlino: molto distanti o solo meno vicini?


Ungheria

Ricorso respinto – Come previsto, la Corte di giustizia europea ha respinto il ricorso di Polonia e Ungheria contro il taglio di fondi comunitari in relazione alla violazione dello Stato di diritto, una sentenza storica per garantire  le politiche democratiche tra gli stati membri, scrive Politico. Tuttavia, ricorda il Times, se la stampella finanziaria di Bruxelles sembra indispensabile per le economie dei due Paesi, rappresentando il 5% del Pil ungherese e il 3% di quello polacco, il governo di Budapest ha già dichiarato di poter fare a meno ai soldi del Recovery Fund, potendo finanziare la ripresa con debito interno. Orbán è pronto, inoltre, a sfruttare a suo favore lo scontro con la Commissione nella campagna elettorale appena partita.

Volata parlamentare – La campagna elettorale per le elezioni politiche del 3 aprile è ufficialmente iniziata con l'annuale discorso sullo Stato della nazione del primo ministro Viktor Orbán nelle sale del giardino del Castello di Buda. Con lo slogan "Avanti e non indietro", come racconta France 24, il premier ha difeso i successi economici del suo governo, gli incentivi alle famiglie e il blocco di bollette e benzina, agitando lo spettro del ritorno dei socialisti al governo, ha accusato l'Ue di lanciare contro di lui una jihad mascherata da tutela dello stato di diritto, e ha elogiato il muro antimigranti eretto ai confini meridionali del Paese.

Su Hungary Today, invece il resoconto della risposta, a pochi giorni di distanza, del leader dell'opposizione Péter Márki-Zay. Salendo sul palco si è presentato come un cristiano e conservatore, padre di sette figli, e si è rivolto direttamente agli oltre due milioni di ungheresi elettori di Fidesz che hanno affidato invano ad Orbán un potere mai avuto da nessun altro in Ungheria. Márki-Zay traccia un profilo totalmente diverso di un Paese reale caratterizzato dal più alto indice di povertà in Europa, che non riesce a proteggere categorie fondamentali come insegnanti e personale sanitario, in cui per molti l'unica soluzione è emigrare e dove il successo dell'economia è tutto a beneficio di una casta di politici e imprenditori conniventi col primo ministro. I principali temi della campagna elettorale sono riassunti da Nick Thorpe sulla Bbc 

Trappola per liberali - Appare improbabile che si tenga il duello televisivo tra i due candidati con Orbán, in chiaro vantaggio secondo gli istituti di sondaggio, poco disposto a rischiare nel confronto chiesto a gran voce da Márki-Zay. Telex.hu  nei suoi contenuti in inglese, non esclude però possibili sorprese che potrebbero ribaltare l'andamento della campagna elettorale come eventuali influenze esterne o il voto dall'estero. Le attenzioni, però, sono tutte su possibili scandali, che non sono mancati negli ultimi anni, a iniziare dal fondatore di Fidesz, József Szájer, sorpreso in pieno lockdown a Bruxelles mentre scappava su una grondaia da un festino a luci rosse. Una prima scossa l'ha data il giornale conservatore Magyar Nemzet, che ha lanciato una serie di scoop intenti a smascherare la tendenziosità delle Ong che operano in Ungheria. Secondo la denuncia di Amnesty International e del Comitato Helsinki fatta a Le Monde, le frasi incriminate presenti negli articoli sono state estorte nel corso di falsi colloqui su Skype, in un'operazione di destabilizzazione.

Muro colabrodo - Nonostante resti un punto fermo dei programmi elettorali sia di Orbán che di Márki-Zay, il muro antimigranti ai confini meridionali del Paese si sta rivelando poco efficace nella sua azione di contenimento. Stando ai numeri che fornisce Reuters, nell'ultimo anno è raddoppiato sia il numero di trafficanti, principalmente esteuropei, fermati dalla polizia ungherese (1277 contro  455), che quello dei migranti illegali intercettati dall'Austria (40mila nel 2021 contro i  21641 del 2020). Dal governo ungherese si afferma che la migrazione rimane una minaccia e che la protezione delle frontiere deve essere rafforzata e riorganizzata, compreso l'aumento delle forze di polizia.

Radó e Hubá, i due candidati a quattro zampe del Partito del cane a due code (Mkkp) in Ungheria

Il partito del cane a due code - Nelle urne gli ungheresi non troveranno solo i simboli di Fidesz e di Unione per l'Ungheria, il nome che si è data la grande coalizione dei principali partiti di opposizione. Alle elezioni si presenteranno anche l'estrema destra di Mi hazánk, il Movimento delle soluzioni, fondato dal re delle webcam erotiche György Gattyán, e il sempre imprevedibile Partito del cane a due code (Mkkp) formazione satirica presentata dal Times. Forte di centinaia di migliaia di follower su Facebook, potrebbe superare la soglia del 5% necessaria per l'ingresso in parlamento. Quest'anno tra gli 89 candidati che presenta nei collegi uninominali figurano anche due cani veri: Hubá, un bulldog, nel collegio del Borsod 4, e Radó, un labrador nero, nel collegio di Vecsés, alle porte di Budapest. Forse questi candidati a quattro zampe non hanno tutti i requisiti per l'eleggibilità, sottolinea il partito, come l’avere compiuto diciotto anni o il numero di firme necessarie a presentarsi, ma di certo risiedono in Ungheria e non hanno precedenti penali. Al di là delle ironie, la presenza dell'Mkkp potrebbe togliere alla coalizione di opposizione voti fondamentali nei collegi in bilico.

Patrimonio conteso – Un manoscritto del XV secolo di Naldus Naldius, incisore e pittore fiorentino alla corte di re Mattia è il tomo più prezioso in possesso della città polacca di Toruń. Descrive la Biblioteca Reale di Buda, all'epoca la più grande d'Europa dopo quella Vaticana. Il prezioso volume sta per essere venduto all'Ungheria per 25 milioni di złoty (6 milioni di Euro) per ricambiare l'acquisizione dello scorso anno a opera del governo polacco di un'armatura da bambino appartenuta a Sigismondo II Augusto di Polonia. Contrario il mondo della cultura polacca, che parla di perdita di un oggetto d'arte inestimabile, racconta Euronews.


Slovacchia

Quattro anni senza Jan e Martina – Il 21 febbraio 2018 il giornalista investigativo Ján Kuciak e la sua fidanzata Martina Kušnírová venivano uccisi a casa loro dal sicario Miroslav Marček. Quel duplice omicidio scoperchiò una fitta rete di connivenze tra politica e criminalità organizzata, che portò alle dimissioni dell'allora primo ministro Robert Fico. La prossima settimana inizierà il secondo processo contro l'imprenditore Marian Kočner, accusato di essere il mandante del delitto, insieme alla sua collaboratrice Alena Zsuzsová. I due erano stati assolti nel 2020, al termine di un primo procedimento, ma la Corte suprema aveva poi annullato la sentenza. Nel nuovo processo alla sbarra degli imputati ci saranno anche Tomáš Szabó, Dušan Kracina e Darko Dragič per i tentati omicidi dei pubblici ministeri Maroš Žilinka, Daniel Lipšic e Peter Šufliarsky, collegati al caso Kuciak. Per l'assassinio di Kuciak e Kušnírová sono già stati condannati a 25 anni di carcere il già citato Marček e il suo complice Tomáš Szabó, mentre un terzo uomo, Zoltán Andruskó, sta scontando 15 anni dopo aver patteggiato. Ne scrivono Slovak Spectator e Buongiorno Slovacchia

Il Trattato sulla Difesa fa discutere – È stata approvata in parlamento l’adesione al Trattato di cooperazione alla difesa con gli Stati Uniti con 79 voti a favore su 150 e alcune defezioni all’interno della coalizione di governo. Ne scrive Slovak Spectator. L’accordo concede all’esercito americano la possibilità di utilizzare le basi militari di Malacky-Kuchyňa e Sliač per dieci anni. In cambio la Slovacchia riceverà 100 milioni di dollari per modernizzarle. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha sottolineato il carattere temporaneo dell’accordo «Non c’è niente nel trattato di oggi che crei basi americane o presenza di truppe permanenti. La sovranità e le leggi della Slovacchia vengono rispettate». Lo riporta Associated Press.

Questa rassicurazione non è però servita a placare il clima di notte da lunghi coltelli che si è creato all’interno della politica slovacca. L’ex premier Roberto Fico, leader del partito di opposizione Direzione Socialdemocrazia (Smer-Sd), ha definito la presidente della Repubblica, Zuzana Čaputová, “un’agente americana” per aver dato il via libera all’operazione. Buongiorno Slovacchia dà invece nota di una vera e propria lista di proscrizione pubblicata online dal deputato Ľuboš Blaha (Smer-Sd). Sono stati indicati foto e indirizzo di residenza dei deputati che avevano votato a favore.

Migliaia di persone hanno protestato davanti al parlamento nelle ore in cui si procedeva al voto, contro quella che viene percepita come un’ingerenza statunitense negli affari di sicurezza nazionale. La vicenda ha riportato alla luce un forte sentimento antiamericano. Kafkadesk dedica all’argomento una lunga analisi. Uno dei risvolti paradossali è che la fascia di popolazione che ha vissuto l’invasione militare del Patto di Varsavia (decisa e coordinata dai sovietici) della Cecoslovacchia nel 1968 è quella che, insieme ai giovani, appare più scettica nei confronti degli Stati Uniti e della Nato che della Russia.

Covid, nuove regole e nuovo vaccino – Mentre la situazione migliora dal punto di vista sanitario, il governo ha introdotto dal 15 febbraio nuove regole per il commercio al dettaglio. Da ora in poi tutti i negozi saranno aperti per coloro che presenteranno prova di vaccinazione, guarigione o test negativo. Finora questa modalità, definita “Otp” poteva essere applicata solo ai negozi che forniscono servizi essenziali. Nessuna modifica per il momento per i servizi: ristoranti, caffetterie, piscine, centri termali, resteranno aperti solo per i guariti e i vaccinati, con delle restrizioni nel numero di persone. Ne scrive in dettaglio Slovak Spectator.

Secondo le previsioni degli esperti sarà possibile allentare la maggior parte delle restrizioni verso la fine di marzo, magari chiedendo alla popolazione di indossare le mascherine Ffp2 in determinati contesti. Per quanto riguarda la campagna vaccinale, è stata attivata sulla piattaforma governativa dedicata, la possibilità di vaccinarsi con il vaccino Nuvaxovid della società americana Novavax. Si tratta di un vaccino di tipo tradizionale da somministrarsi in due dosi a distanza di tre settimane. Su Buongiorno Slovacchia.

Losing my religion – La Slovacchia sta affrontando un processo di secolarizzazione. Secondo l’ultimo censimento, i cui dati sono stati pubblicati in via preliminare il 20 gennaio, la Chiesa cattolica romana ha perso 300mila fedeli negli ultimi dieci anni. Nonostante il clero locale si dimostri ottimista, i sociologi ritengono poco probabile un’inversione del trend nei prossimi anni. Reporting Democracy dedica un lungo approfondimento alla questione.


Repubblica Ceca

Riaperture virali – A seguito della politica di riapertura adottata da molti Paesi europei e dopo varie proteste di piazza contro le restrizioni ancora in vigore per frenare i contagi di covid-19, alcune misure sono state allentate. Dal 9 febbraio ristoranti, hotel, eventi sportivi e musei sono aperti a tutti, con restrizioni sulla capienza consentita, mentre dal 18 febbraio sono stati aboliti i tamponi obbligatori a tappeto in scuole, aziende e uffici pubblici del Paese. Dal giorno seguente è inoltre terminata la quarantena obbligatoria prevista per chiunque entrasse in contatto con un positivo al covid-19, mentre l’isolamemento domiciliare per i nuovi contagiati è stato esteso da cinque a sette giorni. Via Radio Praga. Questa recente riduzione o eliminazione delle restrizioni precedentemente in vigore, non significa che la pandemia sia terminata, pur allontanandosi dai picchi di inizio mese. Non più tardi del 15 febbraio, ad esempio, si sono registrati circa 48mila nuovi contagi e 118 vittime di covid-19. La percentuale di vaccinati resta stabile attorno al 65% della popolazione.

Il candidato incognita – Nel gennaio 2023 i cechi saranno chiamati a scegliere un nuovo presidente della Repubblica. Elezioni dirette che potrebbero anche essere anticipate nel caso in cui le precarie condizioni di salute dell’attuale presidente Miloš Zeman dovessero aggravarsi in modo drammatico. Fra chi ambisce a sostituirlo figura anche Karel Janeček, un 48enne multimiliardario (in corone ceche) che vuole presentarsi alle urne come indipendente dopo avere fatto fortuna con i derivati finanziari. Memori dell’esperienza negativa di un altro imprenditore prestato alla politica come l’ex premier Andrej Babiš, difficilmente i cechi gli daranno credito. Inoltre, proprio Babiš potrebbe essere fra i candidati forti alla presidenza. Janeček non si scoraggia e stima le proprie chance di divenire presidente come superiori a quelle di una sezione aurea, ossia 1,618. Tradotte in percentuale, ben poche. Per il momento sta raccogliendo le 50mila firme necessarie a presentarsi al voto, ma ha già lanciato una campagna elettorale dallo slogan ‘Questi siamo noi’. Il profilo di Euronews.

Automotive in retromarcia – Da anni la produzione automobilistica è uno dei settori dominanti dell’economia ceca, pur essendo assai inferiore a quella della vicina Slovacchia. Il 2021 è stato tuttavia un annus horribilis per le aziende della filiera ceca dell’automotive, con la produzione di autovetture ridottasi a 92657 esemplari, l’11% in meno rispetto all’anno precedente. Era dal 2010 che non si registrava un dato tanto basso. Via Emerging Europe. Anche se l’Associazione nazionale dei produttori di veicoli garantisce che quest’anno il settore si riprenderà, altri analisti ritengono che la produzione oscillerà sino al 2024. Secondo l’economista Jan Bureš, interpellato da Radio Praga, l’automotive ceco può risollevarsi solo facendo leva sulla crescita dell’auto elettrica. Tuttavia, per riuscirci, deve affrontare la sfida della riconversione tecnologica, senza per questo sacrificare i 180mila operai del settore.

Metanfetamine sotto inchiesta – Oggi la Repubblica Ceca è il maggiore produttore europeo di metanfetamine. Un poco invidiabile primato che genera una florida economia illegale con esportazioni estere iniziate negli anni ’90 e un impatto devastante sulla vita di molte persone. La regista ceca Barbora Benešová ha deciso di dare visibilità a un tema ancora poco discusso in patria, realizzando un documentario per il Guardian. Mostra la vita quotidiana di Lenka, una donna ceca residente in un villaggio assieme agli anziani genitori non autosufficienti e che fa consumo abituale di questi stupefacenti da circa 20 anni. Qui il documentario (sottotitolato in inglese) e qui l’intervista del Guardian alla regista.

Il malloppo restituito – Quarant’anni fa, il 20 febbraio 1982, tre cargo Tupolev Tu-154 atterrarono all’aeroporto di Praga. Non trasportavano truppe o armamenti per una nuova invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia, bensì 20 tonnellate d’oro per un valore pari a circa 250 milioni di dollari al cambio dell’epoca. Erano l’ultima parte delle 45 tonnellate di riserve auree del Paese delle quali si erano impossessati i nazisti già nel 1938, bloccando il loro trasporto precauzionale in Gran Bretagna. Parte di questo malloppo venne utilizzato dal Terzo Reich per finanziare il proprio sforzo bellico e venne restituito all’allora Cecoslovacchia, gradualmente, a Seconda guerra mondiale conclusa. Solo con la consegna aerea del 1982, tuttavia, i conti arretrati vennero saldati. Su Radio Praga.

Un’immagine d’epoca che mostra le riserve auree cecoslovacche sottratte dalla Germania nazista nel 1938 e gradualmente restituite al governo di Praga dal dopoguerra al 1982 / Wikimedia Commons


Polonia

Nessuno tocchi Wojtyła – I tribunali polacchi possono condannare con pene fino a tre anni di reclusione le persone ritenute colpevoli di dichiarazioni pubbliche considerate offensive o calunniose verso la Polonia, le sue istituzioni e i suoi rappresentanti di spicco. Tra questi ovviamente non manca Karol Wojtyła, a lungo Arcivescovo di Cracovia, poi diventato Papa e oggi santo della Chiesa cattolica. Dato che il suo nome viene ultimamente associato a inchieste e processi sulla pedofilia nel clero, l’influente associazione nazional-conservatrice Ordo Iuris ha lanciato un sito web per incoraggiare i cittadini a segnalare casi potenzialmente punibili da portare in tribunale. Se ne parla su Notes from Poland.

Stato di diritto, round per Bruxelles – La disputa sullo Stato di diritto che riguarda Polonia e Ungheria va avanti da tanto e Centrum Report l’ha sempre seguita con naturale attenzione. Un aggiornamento che fa pendere la bilancia dal lato dell’Unione arriva dalla Corte di Giustizia Ue che ha respinto l’appello congiunto di Ungheria e Polonia contro la possibilità di vincolare l’erogazione dei fondi al rispetto delle linee guida sullo Stato di diritto da parte dei Paesi membri. Notes from Poland riporta la sentenza e le prevedibili reazioni alla notizia. Durezza e preoccupazione da parte di personalità vicine al governo, approvazione dagli scranni dell’opposizione.

Stangata su Turów – Come già sapranno gli iscritti alla nostra newsletter Magda, sulla questione legata ai fondi europei in Polonia piove sul bagnato a causa della contestata miniera di Turów. Nonostante Polonia e Repubblica Ceca abbiano trovato un accordo bilaterale sulla questione, l’Unione europea non intende soprassedere sulle multe comminate alla Polonia e ancora non pagate per i giorni di attività della miniera passati dopo la sentenza che ne intimava la chiusura. L’importo totale è già arrivato a 60 milioni di euro. Siccome la Polonia non vuole pagarli, la Commissione pensa seriamente di sottrarli dai fondi previsti per Varsavia nei vari pacchetti di sostegno. Se ne parla sul sito in inglese di Tvn.

La spinta universale arriva dalla musica – Oggi a Varsavia è piuttosto comune fare un giro per il centro senza incontrare persone non bianche anche per molte ore. Un panorama difficile da immaginare in tante altre capitali europee, a partire dalla non troppo lontana Berlino. L’omogeneità etnica quasi totale della Polonia contemporanea sembra un dato di fatto incontrovertibile e certamente lo è, ma meno di quanto si possa essere portati a pensare da un’osservazione casuale. Una buona prospettiva sulla questione ci arriva dall’industria musicale, come raccontato da Zula Rabikowska su Notes from Poland. Un viaggio ricco di suggestioni musicali tutte arrivate da artiste e artisti polacchi di seconda generazione e non solo, per arricchire un immaginario della Polonia che altrimenti rischia di diventare stantio.


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V4 a cinque cerchi

Bilancio in chiaroscuro per Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria alle Olimpiadi invernali conclusesi il 20 febbraio a Pechino. I portacolori dei quattro Paesi di Visegrád hanno conquistato otto medaglie, con tre ori, rispetto alle tredici ottenuti nei Giochi 2018, quando gli ori furono cinque. Tuttavia, anche se i freddi numeri cinesi mostrano un peggioramento dei risultati, non sono mancati momenti e personaggi memorabili. Alle delusioni polacche provenienti dal salto con gli sci – sport nazionale in Polonia – che ha portato un singolo bronzo in bacheca, ha fatto da contraltare lo storico primo oro individuale conquistato da un ungherese in una rassegna olimpica invernale. E per una sciatrice polivalente ceca confermatasi campionessa olimpica in una disciplina su due, c’è da segnalare un’atleta slovacca capace di aggiudicarsi l’oro in una delle gare più emozionanti del programma di sci alpino.     

Polonia: 1 bronzo – La Polonia è l’unica fra i Paesi V4 a non avere conquistato neppure un oro ai Giochi cinesi. Le maggiori speranze della spedizione polacca – pur orfana del campione olimpico in carica ed eroe nazionalpopolare Kamil Stoch – erano riposte nel salto con gli sci. L’unica medaglia da Pechino è arrivata proprio grazie a uno dei saltatori della ‘valanga biancorossa’, l’attuale campione mondiale Dawid Kubacki, terzo nella gara del trampolino normale maschile. Ecco il suo salto migliore nel video di Eurosport. Tuttavia, ci si aspettava qualcosa in più. Deludente la prova a squadre maschile del trampolino lungo, dove la Polonia doveva difendere il bronzo del 2018, ma si è classificata sesta.

Repubblica Ceca: 1 oro, 1 bronzo – Non sono stati Giochi esaltanti anche per le atlete e gli atleti cechi. Dalle sette medaglie conquistate nell’edizione di Pyeongchang 2018 si è passati ad appena due. L’unico oro lo ha conquistato la stella della spedizione ceca in terra cinese, Ester Ledecká, che si è aggiudicata lo slalom gigante parallelo di snowboard, bissando il successo ottenuto quattro anni fa sulle nevi sudcoreane. Proprio la 26enne atleta praghese, tuttavia, non è riuscita a ripetere l’impresa storica di vincere anche una prova del programma di sci alpino, come le era riuscito a Pyeongchang. Dopo un quinto posto nel supergigante, la disciplina in cui era campionessa olimpica in carica, e un amaro quarto nella combinata, le sue speranze di medaglia nella discesa libera si sono infrante dopo un errore dal quale si è salvata in modo spettacolare, ma che le è costato tempo prezioso.

Slovacchia: 1 oro, 1 bronzo La spedizione della squadra olimpica slovacca ai Giochi di Pechino ha invece il volto sorridente di Petra Vlhová, medaglia d’oro nello slalom speciale di sci alpino, e della squadra di hockey su ghiaccio maschile, vincitrice del bronzo grazie a un’entusiasmante cavalcata. Vlhová ha trionfato al termine di una splendida seconda manche (si era classificata ottava nella prima), davanti all’austriaca Liensberger e alla svizzera Holdener. La sua gara viene raccontata dallo Slovak Spectator. Il video su Eurosport.

Densa di emozioni anche la medaglia nell’hockey. Dopo aver strappato il pass per il turno preliminare con uno stentato terzo posto alle spalle del Comitato olimpico russo e Danimarca, la compagine guidata da Craig Ramsey ha travolto la Germania per 4-0 nella partita di spareggio, e poi superato gli Stati Uniti per 3-2 nei quarti di finale, dopo gli shoot out. Il sogno iridato si è fermato in semifinale, per mano della Finlandia (2-0) poi laureatasi campione olimpica, ma al termine della finalina con la Svezia vinta per 4-0 è arrivato uno storico terzo posto. La soddisfazione dei protagonisti nell’articolo di Slovak Spectator.

Ungheria: 1 oro, 2 bronzi – Fino al 2018 l'Ungheria non aveva mai conquistato  nella sua storia un oro alle Olimpiadi invernali. Poi sono arrivati i fratelli Liu, nati a Budapest da padre cinese e madre ungherese, avviati per caso allo short track, dopo che il padre aveva fatto da traduttore alla squadra cinese in terra magiara. Con loro l'Ungheria è diventata una nazione da battere nel pattinaggio su pista corta, vincendo la staffetta maschile all'oro nei Giochi 2018. Quest'anno a Pechino, dove avevano chiesto di portare sulle divise i colori sia ungheresi che cinesi, Shaoang Liu ha vinto il titolo individuale nei 500 metri, mentre Shaolin Liu è stato fermato solo dai giudici, dopo aver tagliato per primo il traguardo dei 1000 metri.

A coronare le loro prestazioni è arrivato anche il bronzo, ottenuto assieme a tre compagne e compagni di squadra nella staffetta mista sui 2000 metri. Su Kafkadesk.  Parla dei due pattinatori sinoungheresi anche il Global Times, giornale in inglese del Partito comunista cinese. L’articolo cita il perfetto mandarino, con accento del nordest, dei due fratelli Liu, oltre a raccontare gli ammiccamenti alle telecamere e le accuse di ipocrisia ricevute dai fan cinesi sul loro account Weibo. 

I fratelli sino-ungheresi Shaoang e Shaolin Liu, stelle dello short track internazionale e plurimedagliati olimpici / Olympics.com

 

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