Václav #71

16 maggio - 10 giugno


Le ultime settimane sono state molto intense sul fronte Visegrád. A monopolizzare l’attenzione è stato il premier ungherese Viktor Orbán, protagonista vincitore del braccio di ferro con Bruxelles in tema del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Il testo originale prevedeva l’embargo totale del petrolio russo. Una mossa inaccettabile per Orbán: l’Ungheria dipende pressoché totalmente dal greggio di Mosca. Dopo un’estenuante trattativa è stato stabiliti che l’embargo avrebbe riguardato solo il petrolio importato via mare. Via libera, dunque, per quello che arriva dall’oleodotto Druzhba, da cui si approvvigionano anche Slovacchia e Repubblica Ceca.

Fronte caldo con Bruxelles anche per la Polonia. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è recata a Varsavia per firmare il piano di recupero nazionale polacco, presentato da ormai tredici mesi e rimasto finora “congelato” per i noti problemi legati allo stato di diritto. Lo sblocco della situazione è stato possibile perché il Sejm polacco ha approvato il disegno di legge presentato dal presidente Andrzej Duda per l’eliminazione della Camera di disciplina, uno dei nodi principali della riforma della Giustizia del 2017. Per ottenere i 36 miliardi di euro di aiuti previsti dal Recovery Fund, tuttavia, Varsavia dovrà aspettare almeno la fine del 2023.

Di questo e di molto altro parliamo in questo numero 71 di Václav, che vede il ritorno della Terza Pagina.

Buona lettura!


Nero Petrolio

Per l'ennesima volta l'Ungheria è stata protagonista della politica europea con il veto del premier Orbán alle sanzioni sulle importazioni del greggio russo, sollevato solo, in extremis, al Consiglio europeo con un accordo complesso e ricco di distinguo che sancisce l'embargo solo al petrolio in arrivo via mare. Escluse dai provvedimenti le forniture via terra tramite l'oleodotto Druzhba, accettando la proposta ungherese, insieme alla clausola di garanzia di forniture nel caso il flusso di greggio venga interrotto per motivi esterni. La compagnia petrolifera magiara Mol potrà inoltre continuare a trattare il petrolio Ural, con la garanzia di continuare a esportare il prodotto raffinato. Scompare dall'accordo una timeline per l'affrancamento completo dal petrolio russo, rientrato in un generico "quanto prima possibile".

Orbán esce vincitore dal tira e molla con Bruxelles, afferma Politico, o per dirla con le parole di un anonimo diplomatico Ue: "Se guardiamo all'intero mese di contrattazione, Orbán ha ricevuto molte concessioni e ha preso tutti in ostaggio". Il premier ha subito rivendicato la vittoria in chiave interna dichiarando di aver difeso i portafogli dei cittadini da quella che aveva definito una bomba atomica contro l'economia ungherese. Dall'accordo sono stati tenuti fuori però sia i fondi del recovery, sia la contesa sullo stato di diritto. Come colpo di coda, quello che la Faz definisce l'uomo di Putin nell'Ue, ha infine posto il veto alle sanzioni indirizzate al patriarca della Chiesa ortodossa di Mosca, Kirill? ne scrive Il Foglio.

Ma Budapest non è stata sola nella lunga trattativa che l’ha vista impegnata con la Commissione.
La Slovacchia aveva chiesto una deroga di tre anni all'Unione Europea per affrancarsi dalla sua dipendenza dal greggio russo. Un'eccezione non concessa da Bruxelles, in nome di una linea dura nei confronti delle importazioni di greggio russo nell'ambito delle sanzioni economiche decise a seguito dell'invasione dell'Ucraina. La bozza dell'accordo prevede che Bratislava possa continuare ad acquistare petrolio dal Cremlino attraverso l'oleodotto Druzhba e da raffinare sul proprio territorio per un massimo di 18 mesi, con la possibilità di destinare il prodotto finale solo al consumo interno e a quello della confinante Repubblica Ceca. Al momento l'unica raffineria attiva nel Paese, Slovnaft, appartiene al gruppo ungherese Mol e funziona interamente con greggio russo. Il ministero dell'Economia slovacco avverte che le sanzioni previste avrebbero quindi un impatto significativo sul mercato interno di petrolio e suoi derivati. Se ne occupa Reuters.

Deroga di 18 mesi anche per la Repubblica Ceca, che condivideva gli stessi problemi infrastrutturali di Bratislava. Il primo ministro Petr Fiala ha definito “eccellente” l’accordo ottenuto. Nonostante la proposta di embargo totale, come presentata all’inizio, non risultasse favorevole a Praga, la posizione del governo ceco è stata sempre proiettata alla ricerca di una soluzione. Nei giorni in cui sembrava che l’Ungheria cercasse di boicottare le trattative, il ministro degli Esteri Jan Lipavsky aveva bollato la posizione di Budapest come “inaccettabile”. Da Radio Praga.

Va a completare il quadro dei V4 la Polonia, che però si è mossa in modo diametralmente opposto agli altri Paesi. Varsavia ha da tempo dichiarato di essere disposta a sganciarsi dal petrolio russo alla fine di quest’anno, indipendentemente dalla posizione di Bruxelles.

La veduta di una raffineria.


Ungheria

È nato il quinto governo Orbán Il 24 maggio il quinto governo Orbán ha ottenuto la fiducia del parlamento ungherese. È il dodicesimo esecutivo ungherese in carica dal crollo del Muro di Berlino nel 1989. Ne offre una brillante presentazione Kafkadesk. Riconfermati ai posti chiave Sándor Pinter agli interni, Péter Szijjárto agli Esteri, Judit Varga alla Giustizia e Mihály Varga alle Finanze. Tra le novità l'arrivo del giovane Márton Nagy allo Sviluppo economico per portare avanti le misure non ortodosse di Orbán, e, alla Difesa, Kristóf Szalay-Bobrovniczky, marito della portavoce del premier Alexandra Szentikirályi, socio in discussa joint venture con l'azienda statale russa Transmasholding, oggetto di un’inchiesta di Direkt36. Alla Cultura e innovazione János Csák, ex membro del board della Bank of China, che potrebbe riprendere il progetto della sede budapestina della Fudan University di Shanghai. 

Scuola prussiana Il nuovo governo si distinguerà, unico in Europa, per non avere un ministero dedicato alla Pubblica Istruzione e alla Sanità. Queste competenze, già nei governi precedenti accorpate in un inedito Ministero delle risorse umane, verranno gestite sotto il cappello del ministero degli Interni. Una decisione che sa di misura punitiva per la categoria degli insegnanti, rei di aver indetto scioperi non approvati dal governo poche settimane prima delle elezioni, secondo Erzsebet Nagy del sindacato degli insegnanti, intervistata da Hungary Today.

Nuovo stato di emergenza  Il parlamento ungherese ha approvato la decima riforma costituzionale richiesta dal governo in dieci anni, che prevede la possibilità di richiedere lo stato d'emergenza in caso di conflitto o di crisi umanitaria in Paesi confinanti. Lo stato di emergenza è entrato in vigore il giorno successivo alla votazione. Il precedente stato di emergenza, legato alla crisi pandemica, era in scadenza il 31 maggio. Il governo potrà, quindi, continuare approvare decreti o sospendere leggi o parti di esse senza consultare l'assemblea parlamentare. Dalle pagine in inglese di Telex.hu. La modifica costituzionale è stata prontamente controfirmata dalla neopresidente della Repubblica Katalin Novák nonostante gli appelli dell'opposizione.

Extratasse su extraprofitti Il primo provvedimento del governo sotto il nuovo stato di emergenza, è stato un articolato sistema di tassazioni sui cosiddetti extraprofitti di istituti finanziari e assicurativi, grandi catene commerciali, aerolinee, compagnie energetiche e di telecomunicazioni. Sarà in vigore per due anni. Ne scrive Bloomberg. Gli introiti, ha affermato Orbán, serviranno a frenare gli aumenti alle bollette e a sostenere le spese militari. Risaneranno anche il deficit di bilancio causato dai provvedimenti pre-elettorali e dal mancato accordo con l'Ue per i fondi Green Generation. Dopo l’annuncio vi è stata un repentino crollo del fiorino sui mercati monetari, di nuovo vicinissimo alla quota simbolica di 400 contro l’euro. Tracollo anche alla Borsa di Budapest di banche e telefonici. Per l'opposizione saranno i cittadini a scontare gli effetti del provvedimento, dato che le aziende si rifaranno sui clienti finali, mentre gli unici a non venirne toccati saranno gli oligarchi vicini a Orbán. Su Hungary Today.

La Florida prende a modello l'Ungheria  La Florida dell'ambizioso governatore Ron DeSantis sta diventando lo stato modello dei conservatori americani per le sue politiche che prendono esplicitamente spunto da quelle di Viktor Orbán, visto come un leader capace non solo di grandi vittorie elettorali, ma anche culturali, imperniate sui valori cristiani tradizionali, scrive il Washington Post nel secondo episodio della serie in tre parti dedicata alle ombre ungheresi che si allungano sulla politica statunitense. DeSantis ha siglato in marzo la cosiddetta 'Don't Say Gay Law', inerente l'educazione sessuale nelle scuole di primo grado, con un testo di legge vago, criticato anche dalla Disney, una delle maggiori aziende presenti in Florida.

Protesta davanti alla Casa Bianca contro la ‘Don’t Say Gay Law’.


Polonia

Pnrr – apertura con riserva
Varsavia ha deciso di chiudere la discussa Camera disciplinare dei giudici che aveva causato - non da sola - molti dubbi sull’indipendenza della magistratura polacca e che aveva portato la Commissione europea a congelare i fondi del Pnrr destinati alla Polonia. Lo riporta, tra gli altri, EuObserver

Un passo importante di apertura verso le richieste Ue e accolto con favore dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, recatasi in visita a Varsavia a inizio giugno. Da altre fonti, tuttavia, rimane freddezza in merito. Paolo Gentiloni, ad esempio, apre con cautela dicendo che comunque sarà dovere degli organi competenti di monitorare la situazione. Ancora più netta la posizione dell’eurodeputato tedesco Freund, che considera la riforma di Varsavia nulla più che uno specchietto per allodole. Lo riporta Euronews.

La sensazione è che Bruxelles stia facendo delle concessioni straordinarie al governo di Varsavia per inserirsi nel solco sempre più chiaro tra Polonia e Ungheria apertosi con l’invasione russa dell’Ucraina. Il gioco varrà la candela? Nei giorni che hanno preceduto la firma dell’accordo, Fabio Turco ne aveva scritto per Reset. Di fatto, per incassare i 36 miliardi di euro previsti dal Recovery Fund europeo, Varsavia dovrà attendere l’esito dell’analisi in merito della Commissione europea, che si concluderà solo alla fine del 2023.

La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e il premier polacco Mateusz Morawiecki nel 2019. (Fot. Krystian Maj / KPRM)

Situazione rifugiati. Lavoro e testimonianze La Polonia, dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, è il Paese europeo che ha accolto più persone rifugiate in fuga dai bombardamenti russi. I dati, che stimano in circa 1,5 milioni le persone insediatesi in Polonia in pianta relativamente stabile, aprono al tema interessante di come cambierà il mercato del lavoro polacco.

Varsavia vanta da anni un tasso di disoccupazione molto basso rispetto alla media europea e allo stesso tempo settori industriali e produttivi che lamentano mancanza di personale. Problema che potrebbe essere parzialmente risolto con l’arrivo delle persone rifugiate dall’Ucraina, visto che circa il 45% di loro sono donne in età lavorativa. Una ricerca di Deloitte, riportata da Notes From Poland, mette tuttavia in evidenza il vero problema: l’accesso al lavoro limitato solo a posizioni a bassa qualifica professionale.

Scout senza Dio La laicizzazione della società polacca va avanti progressivamente da tempo, accentuata ultimamente dal ruolo che la Chiesa cattolica ha assunto nella politica nazionale sostenendo posizioni conservatrici, se non addirittura reazionarie, sui diritti civili. Ultimamente, a preoccupare il campo conservatore e in particolare Diritto e Giustizia (PiS) è stata la decisione dell’associazione nazionale degli scout di togliere la parola ‘Dio’ dal giuramento dei suoi iscritti.

L’associazione, come riporta Notes From Poland, ha motivato la sua decisione parlando della possibilità di permettere ai suoi giovani membri di sentirsi accolti anche se “non sono pronti a definire la loro fede, ma ne sono in cerca”. Un approccio diplomatico e prudente che non è servito però a evitare le critiche da parte di vescovi, politici conservatori e dirigenti della stessa associazione. Jan Dziedziczak, sottosegretario alla presidenza del consiglio e istruttore scout, ha parlato di “pericolosa ideologia atea”.

Sinistra al palo Il mondo progressista polacco non è univoco nel giudizio sull’invasione russa dell’Ucraina. La sinistra parlamentare ha accusato la politica imperialista di Putin senza se e senza ma dall’inizio, al punto che il partito Razem (Insieme) ha lasciato il gruppo DieM25 di Yanis Varoufakis in aperta polemica con un comunicato ambiguo sulle responsabilità russe sul tema. Esistono tuttavia frange della, sparuta, galassia anticapitalista e antagonista in Polonia che non rinunciano a sottolineare le responsabilità della Nato e degli Stati Uniti nella gestione della fase pre-conflitto. Su Reporting Democracy, Dariusz Kalan cerca di fare il punto di quello che succede nella sinistra polacca.

Volti di donne dal confine Daniele Mastrolitti è un attivista dell’associazione Nuove Radici e ha passato due mesi in un centro di accoglienza a Hrubieszów, non lontano dal confine tra Polonia e Ucraina. Si è occupato dell’accoglienza di molte donne ucraine fuggite da città bombardate o anche solo dal timore di un attacco da parte delle forze militari russe. Ha raccolto alcune di queste storie, assieme alle foto di alcune delle protagoniste, in un reportage emotivo che racconta in presa diretta il dramma di chi è costretto a fuggire dalla propria casa.


Slovacchia


Il vertice sulla sicurezza Dal 2 al 4 giugno si è tenuto a Bratislava il Globsec 2022, importante conferenza internazionale sulla sicurezza e la politica estera. Temi mai come oggi di attualità. Durante l'edizione di quest'anno sono intervenuti 30 capi di Stato, altrettanti ministri degli Affari esteri e della Difesa oltre a numerosi esperti internazionali. Tutti interessati a 'Costruire la resilienza in un mondo diviso', come recita il titolo di questa edizione del forum, svoltasi durante l'aggressione russa all'Ucraina. A fare gli onori di casa, la presidente della Repubblica Zuzana Čaputová e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Ha invece parlato in videoconferenza il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. L'articolo di Buongiorno Slovacchia.

Corruzione da debellare La Slovacchia è uno dei Paesi europei nei quali la corruzione, così come gli oscuri rapporti fra potere politico e malavita organizzata, hanno destato maggiore scalpore negli ultimi anni. Se ne occupò il reporter investigativo Ján Kuciak - assassinato nel febbraio 2018 con la fidanzata. Un mese dopo, l'allora premier Robert Fico si dimise proprio perché travolto dalle ramificazioni di quell'omicidio e dalla crescente rabbia dei connazionali scesi a migliaia in piazza per invocare trasparenza. La corruzione nel Paese è spesso sistemica e riguarda tanto partiti e movimenti politici quanto le stesse forze dell'ordine.

Dal 2018 a oggi qualcosa sta cambiando - grazie anche alla spinta in tal senso della società civile - ma la strada da percorrere resta lunga e accidentata. Una settimana fa persino l'ex procuratore speciale anti-corruzione, Dušan Kováčik, è stato condannato a otto anni di reclusione dalla Corte Suprema di Bratislava per avere intascato tangenti. Le aveva accettate per rilasciare dal carcere un boss della malavita organizzata e per fare trapelare alcune informazioni riservate. Una vicenda raccontata da Euronews.

I dolori del giovane Heger Il primo ministro Eduard Heger - in carica dall'aprile 2021 - si trova in una situazione paradossale: debole e indeciso sul fronte interno, più autorevole e risoluto su quello internazionale. Come riferisce Reporting Democracy di Balkan Insight, il governo Heger si troverebbe sull'orlo di una crisi di coalizione e la posizione del primo ministro sarebbe in bilico. Oppositori e vari analisti politici lo ritengono inadeguato a ricoprire il ruolo ereditato dal collega di partito Igor Matovič a seguito di uno scandalo legato all'acquisto del vaccino russo Sputnik. Oltre a non avere mai criticato il proprio predecessore, Heger stenta a fare approvare due importanti riforme - giudiziaria e del sistema universitario - che sono le pre-condizioni poste da Bruxelles per l'accesso di Bratislava al Recovery Fund.

Sullo scenario estero, il premier slovacco si è distinto sin dall'inizio delle ostilità in Ucraina per le sue posizioni nette in difesa del governo di Kiev. Il tutto senza cedere al traino mediatico dei suoi omologhi polacchi e cechi Mateusz Morawiecki e Petr Fiala - che si recarono nella capitale ucraina già il 16 marzo - ma preferendo andarci per conto proprio, in un secondo tempo. Una posizione che gli è tuttavia costata alcune critiche in patria, nonostante il supporto militare fornito da Bratislava a Kiev e l'accoglienza di 77mila profughi ucraini. Intanto, intervenendo al Forum economico di Davos, il 25 maggio, Heger ha avvertito che la Slovacchia sarebbe il prossimo obiettivo di Mosca nel caso in cui l'Ucraina dovesse soccombere alle mire del Cremlino. Ne ha parlato Sky italiana.

Obici semoventi in partenza Proprio sul fronte della fornitura di armamenti all'Ucraina, il 31 maggio il ministro della Difesa Jaroslav Naď ha confermato che la Slovacchia fornirà all'esercito di Kiev otto obici semoventi Zuzana 2. Si tratta di pezzi di artiglieria su ruote di produzione slovacca sui quali militari ucraini si starebbero già addestrando. Le stesse forze armate di Bratislava utilizzano questi armamenti di ultimissima generazione solo dall'anno passato. Come ricorda Slovak Spectator, gli obici Zuzana 2 si aggiungeranno ai più vetusti - ma ancora efficaci - sistemi d'arma antiaerei S-300, donati dalla Slovacchia all'Ucraina nelle settimane scorse.

Le alternative al gas russo Dal piano militare ci spostiamo a quello energetico. Dall'1 giugno la Slovacchia ha ridotto la propria cronica dipendenza dal gas russo del 65%. Lo sostiene il ministro dell'Economia, Richard Sulík, secondo il quale ciò è reso possibile da un incremento delle forniture di gas naturale liquefatto (Gnl) destinate a Bratislava e da un ulteriore accordo raggiunto per importare gas dalla Norvegia. Tuttavia, alcuni esperti del settore energetico ritengono questa stima eccessivamente ottimistica, stimando che le misure appena introdotte riduranno la dipendenza slovacca dal gas del Cremlino solo del 35%, senza contare che il gas norvegese sarà più caro di quello oggi fornito da Gazprom. In ogni caso, a migliorare il quadro della situazione nell'immediato futuro, vi è la prevista apertura di un gasdotto interconnettore con la Polonia. Dovrebbe entrare in funzione entro la fine dell'anno e agevolare il graduale affrancamento dal gas russo. Il punto di Euractiv.


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Repubblica Ceca

Visegrád non è un blocco unitario «Il Gruppo Visegrád non è un blocco unitario, ma una piattaforma di discussione». Lo ha detto il ministro degli Esteri ceco Jan Lipavsky a margine della 132ma sessione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, tenutasi a Venaria Reale. Secondo Lipavski, che ha rilasciato una lunga intervista ad Agenzia Nova, l’Ungheria ha sbagliato a cercare di presentare il V4 come un fronte unitario. Un errore ancora più evidente oggi, alla luce della spaccatura creatasi con la Polonia per la posizione ungherese sulla Russia. Il ministro ceco si è detto comunque sicuro che non ci saranno problemi per continuare a incontrarsi con i suoi omologhi del V4. 

Elicotteri da combattimento all’Ucraina Un certo numero di elicotteri da combattimento Mi-24 di fabbricazione sovietica sono stati donati dalla Repubblica Ceca all’Ucraina. La cessione sarebbe avvenuta nelle scorse settimane, ma la notizie è stata fatta trapelare con ritardo. Gli elicotteri sono già stati schierati e utilizzati. In linea con il suo sostegno militare all’Ucraina, Praga ha inoltre accettato di ricevere da Kiev decine di veicoli corazzati per ripararli, prima di un loro riutilizzo. La notizia su Agenzia Nova.

Migliora la libertà di stampa Importante balzo in avanti della Repubblica Ceca nella speciale classifica di Reporters Without Borders  (Rsf) sulla libertà di stampa, che si attesta al ventesimo posto globale e al nono posto in Europa. Come riferisce Kafkadesk, negli ultimi anni i risultati erano stati poco lusinghieri. A partire dal 2014, quando il Paese poteva vantare un ottimo tredicesimo posto a livello mondiale, Praga ha progressivamente perso posizioni, fino a scivolare al quarantesimo posto dell’anno scorso. A pesare su queste performance il controllo dei media imposto dall’ex premier Andrej Babiš e il controverso rapporto coi giornalisti del presidente Miloś Zeman. 


Terza Pagina


Iga Świątek regina di Parigi

Iga Świątek trionfa al Roland Garros di Parigi dopo la vittoria del 2020, sconfiggendo in finale l'americana Coco Gauff per 6-1, 6-3. La tennista polacca numero 1 al mondo ha dato sempre sensazione di essere in assoluto dominio. È giunta ormai alla 35esima vittoria consecutiva. Il suo cammino trionfale viene raccontato da UbiTennis.

Il nuovo Museo Etnografico ungherese Dopo la casa della Musica ungherese, Budapest vede nascere un nuovo grande museo e contenitore culturale: è la nuova sede del Museo etnografico, che raccoglie circa 250mila oggetti di una collezione nata ben 150 anni fa, vero emblema della autorappresentazione culturale del Paese. Il museo è ospitato all'interno di due colossali ali di 300 metri di lunghezza all'ingresso del parco del Városliget ed è parte del Liget project, il distretto museale all'interno dello storico parco cittadino. Un progetto vivamente contestato dal Comune di Budapest, a difesa degli spazi verdi in città, e rilanciato, invece, dal governo dopo il recente trionfo elettorale. Lo presenta Designboom, mentre le reazioni sui media ungheresi trovano spazio sul Courrier International. Ne ha scritto anche il nostro Alessandro Grimaldi su L'altra Budapest.

János Arany e i bardi
Narra la leggenda che nel 1277 cinquecento bardi gallesi vennero trucidati nel castello gallese di Montgomery per il rifiuto di cantare per il vittorioso re Edoardo I di Inghilterra. Quasi seicento anni dopo, in piena età romantica, il poeta János Arany, l'autore del poema Toldi, scrisse in loro onore una ballata dopo il suo diniego alla composizione di un lavoro di encomio per Francesco Giuseppe, nell'allora Impero asburgico che aveva tarpato i sogni di indipendenza del popolo ungherese. Il sito della Bbc racconta i rapporti sempre più intensi tra Ungheria e Galles, tra emigrati magiari in Gran Bretagna, paesaggi da favola, castelli, difesa della unicità della lingua e amore per le canzoni folk, sanciti dalla targa nel centro della cittadina gallese in ricordo della ballata, svelata nei giorni scorsi.

Le terme di Piešťany Gli appassionati delle storiche guide del Touring Club Italiano ricorderanno come le località termali vi fossero sempre trattate con un occhio di riguardo, meritandosi spesso almeno una delle due stelle concesse a luoghi di particolare interesse. Le guide Lonely Planet, rivolte a un pubblico più giovane e dinamico, sono meno inclini a concedere alle terme questo privilegio. Tuttavia le celebri Baedeker australiane hanno appena stilato una lista delle 20 migliori località termali europee. Fra di esse - oltre agli storici Bagni Széchenyi di Budapest e alla mondana Karlovy Vary nella Repubblica Ceca - si trova anche la meno nota cittadina slovacca di Piešťany. Sorge a 86 chilometri da Bratislava, conta 30mila abitanti e le sue fonti termali medicamentose sono note sin dal Medioevo. Situata sulle sponde del fiume Vah e circondata da riposanti foreste, Piešťany si prepara ora a un'intensa stagione estiva, dopo le restrizioni alle presenze turistiche straniere imposte dalla pandemia negli ultimi due anni. Via Slovak Spectator.

Hockey su ghiaccio, Repubblica Ceca bronzo mondiale Ai mondiali di hockey su ghiaccio buon terzo posto della Repubblica Ceca, in uno sport che da sempre la vede ai vertici, con ben 12 titoli iridati (sei di questi ottenuti come Cecoslovacchia). Quest’anno i sogni di gloria si erano conclusi in semifinale con una bruciante sconfitta per 6-1 patita dal Canada. Nella finalina per il bronzo è arrivato il riscatto, con la vittoria per 8-4 sugli Stati Uniti. Il racconto della partita su Oa Sport. Il titolo iridato è andato alla Finlandia, vincitrice in finale per 4-3 sul Canada. 

Il rendering del progetto del nuovo Museo Etnografico di Budapest (da BibLus BIM)

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