Tutte le guerre di Žižka / 2

Prosegue il racconto delle avvenuture politiche e militari di Jan Žižka nella Praga e nell’Europa Centrale del Basso Medievo. La prima puntata è uscita il 22 settembre 2020. La seconda è quella che trovate qui di seguito.


di Salvatore Greco

La statua di Jan Žižka a Tabor, città poco a sud di Praga / Wikipedia

La statua di Jan Žižka a Tabor, città poco a sud di Praga / Wikipedia

Dopo la vittoria nella battaglia di Grunwald del 1410, Jan Žižka può tornare a Praga con tutti gli onori. Alla corte di re Venceslao, adesso può vantare una posizione di altissimo livello, tanto che viene nominato ufficiale della guardia reale. È in questa posizione che Žižka accompagna per Praga le uscite pubbliche della regina Sofia, moglie di Venceslao. La accompagna soprattutto in chiesa, e alle omelie di un eloquente prelato del quale tutti parlano a Praga, Jan Hus.

Cento anni prima dell’avvento di Martin Lutero, Jan Hus è il primo vero iniziatore del movimento di pensiero che mette in dubbio le gerarchie ecclesiastiche. I suoi sermoni coinvolgenti e rabbiosi contro il mercato delle indulgenze infiammano la Cappella di Betlemme di cui è parroco e le piazze di Praga dove sempre più persone si riuniscono per ascoltarlo. Fra i suoi estimatori d’eccezione, c’è proprio la regina Sofia e, per osmosi, gli uomini della sua scorta. Con Hus che cresce di importanza, che dibatte di teologia e liturgia all’Università Carolingia attraendosi le simpatie del popolo, ma anche le antipatie dei vescovi, la questione arriva alle stanze del re. Venceslao si trova a dover dirimere una questione spinosa, il suo regno è in fibrillazione e la cristianità sente la minaccia di un pensiero eretico, che non è pronta a combattere proprio in quegli anni in cui si sta consumando lo scisma di Avignone e in giro per il mondo cristiano ci sono due uomini che vantano il titolo di Papa.

Nelle cose boeme, il re prova a mediare, fallisce, tenta addirittura la fuga, poi torna a Praga e ottiene che Hus cessi di predicare. È il 1412, ed è troppo tardi per fermare la valanga. Le idee di Hus circolano tra il popolo, ma anche tra i nobili. Per loro che da due generazioni lamentano la fine del regno boemo autoctono, l’hussitismo sembra una dichiarazione di identità nazionale, fuori dal cappio dell’impero e della Chiesa romana alle cui sorti si sono sentiti legati contro la propria volontà.

Intanto nel mondo cristiano qualcosa si muove. Nel 1414 Sigismondo d’Ungheria scavalca il cugino, che sarebbe pur sempre imperatore, e convoca a Costanza un concilio di vescovi per risolvere lo scisma e riunire la chiesa. È un’operazione delicata, che richiede la ricucitura di uno strappo politico e religioso lungo decenni. Ha bisogno di un capro espiatorio, un nemico ideale per tutte le parti in causa, che riporti l’unità. E il caso vuole che il capro espiatorio perfetto sia quel predicatore boemo che sta minando l’unità della chiesa a furia di sermoni. Nel 1415 Jan Hus viene convocato a Costanza dove il concilio volge alla fine, vi si reca con la promessa di essere ascoltato alla pari, ma viene imprigionato e bruciato vivo sul rogo come eretico.

Quando la notizia del rogo di Hus arriva a Praga, la città esplode di proteste. L’alta nobiltà boema reagisce spedendo a Costanza la protestio Bohemorum rifiutando e rimandando al mittente l’accusa di eresia, ma un altro fronte si apre contemporaneamente a livello popolare. Con predicatori hussiti che girano per le campagne raccogliendo migliaia di proseliti, emergono i taboriti. Si chiamano così perché ascoltano i loro sermoni all’aperto, ai piedi di un piccolo monte che rievocano simbolicamente il biblico Tabor. È un movimento di povera gente, che non ha accesso agli strumenti della nobiltà, e si propone un programma di ritorno agli insegnamenti biblici di base, con punte messianiche che si tingono di rivolta politica quando Venceslao comincia a vietare apertamente i raduni e i riti taboriti. L’opposizione di Venceslao è dura, ma le proteste lo sono ancora di più.

Da fedelissimo del re e da gendarme della chiesa cattolica, Žižka si ritrova a sostenere la rivolta protestante lanciata dai sostenitori di Jan Hus, il propugnatore della Riforma in Boemia. Condannato per eresia, verrà bruciato vivo. Nel 1419 Žižka ha un ruolo nella celebre “defestrazione di Praga”, evento legato proprio al contrasto religioso di quegli anni.

Nel luglio del 1419, una folla di fedeli hussiti accompagna il predicatore Jan Želivský per le strade di Praga con la richiesta di uno scambio di prigionieri. Il clima è teso, basta un gesto inconsulto, un colpo lanciato dall’alto di un palazzo a colpire proprio Želivský, a fare esplodere lo scontro. La folla inferocita assalta così il palazzo del municipio della Città Nuova, cattura sette alti dignitari cittadini e li getta da una finestra, sotto la quale la folla restante completa il linciaggio. È la celebre prima defenestrazione di Praga, e tra i suoi capipopolo c’è proprio lui, Jan Žižka. Non è facile per gli storici individuare dalle fonti il passaggio di Žižka da fedelissimo del re a capo di una rivolta di stampo religioso, ma nel contesto della Boemia di quegli anni e delle forti emozioni della vicenda hussita non c’è poi troppo di strano.

Nello stesso 1419, pochi mesi dopo la defenestrazione, Venceslao muore di morte improvvisa, lasciando vacanti il trono di re di Boemia e, soprattutto, quello imperiale. Per suo cugino Sigismondo, già re d’Ungheria, è l’occasione per prendersi definitivamente l’impero. Non ha dalla sua i nobili boemi, che gli rinfacciano la condanna a Hus, né il pieno apporto dei principi tedeschi, ma è un politico scaltro come pochi, per legittimarsi sceglie la via della guerra di religione e invoca contro gli hussiti una vera e propria crociata, appoggiata dal Papa che lui ha messo sul soglio di Pietro, Martino V.

Žižka è un genio militare. Alla guida di un esercito piuttosto scalcagnato, colma l’inferiorità militare dei suoi con stratagemmi innovativi e con l’uso dell’artiglieria: fu tra i primi a capirne il valore strategico.

Le guerre hussite vere e proprie cominciano così. Žižka prima combatte caoticamente a Praga contro divisioni di mercenari di Sigismondo, poi arretra verso Plzeň dove i taboriti cominciano a organizzarsi come esercito resistente. Sono quasi tutti contadini, le armi di cui dispongono sono rudimentali e fuori scala per combattere contro la cavalleria pesante di Sigismondo. In questo frangente Žižka mostra il suo talento militare superiore, quello che l’ha consegnato alla storia come pioniere della tattica militare. Il neonominato condottiero taborita ingegna un sistema difensivo basato sui carri dei contadini, debitamente blindati, capaci di resistere alle cariche della cavalleria nemica e pronti a fare velocemente spazio per permettere il movimento della propria. Inoltre, Žižka vede per primo in Europa il vero potenziale dell’artiglieria. Armi da fuoco esistono negli eserciti europei già da tempo, ma per la loro scarsa gittata e l’inefficacia contro le armature corazzate, sono sino a quel momento rimaste ai margini di ogni esercito in campo aperto. Con il sistema dei carri a difesa e un addestramento meticoloso per insegnare ai contadini a caricare e sparare come un sol uomo, Žižka riesce a creare una potenza di fuoco ancora sconosciuta. A maggior testimonianza di questa rivoluzione, basterà forse dire che la parola pistola, oggi presente in numerose lingue, è un calco del ceco píšťala, termine che in origine indicava una canna di legno cava. Indizio, se non prova vera e propria, del fatto che la popolarità europea delle armi da fuoco sia passata da qui.

Con l’unione di queste due innovazioni tecniche, Žižka vince battaglie su battaglie, la più iconica delle quali si combatte nel 1412 a Praga, sulla collina di Vitkov, dove i taboriti si arroccano per respingere gli assalti di Sigismondo. È su quella collina, la stessa su cui oggi sorge la statua di Žižka, che il condottiero taborita assesta un primo ma letale colpo alla tecnica di guerra medievale.

Le guerre hussite durano per quasi vent’anni, fino al 1431, con una parziale vittoria del movimento taborita che costringe il Papa e i principi tedeschi coinvolti a un compromesso al ribasso. Le richieste degli hussiti su eucaristia e predicazione vengono mediate, quella di secolarizzazione dei beni ecclesiastici del tutto respinta. La storia del secolo successivo in terra tedesca dimostrerà che quel capitolo era tutt’altro che chiuso.

Al Concilio di Basilea, che sancisce quanto scritto prima, Jan Žižka non c’è. Nel 1424, sette anni prima, è morto improvvisamente mentre progettava l’attacco alle provincie morave ancora sotto il controllo di Sigismondo. L’esercito taborita rischia lo sfascio totale in seguito alla scomparsa del suo generalee, ma ne trova uno quasi altrettanto abile nel vecchio luogotenente di Žižka, Andreas Prokop poi detto il Grande, capace di completare l’opera di Žižka, di fare arrivare sul trono boemo un principe che non fosse germanico: sarà prima Ladislao II di Polonia, poi Mattia V d’Ungheria. Prende il via un periodo di autonomia della Boemia dall’impero che durerà ancora un secolo, fino all’arrivo degli Asburgo sullo sfondo della storia europea.

Quando l’Impero austro-ungarico, sul finire dell’Ottocento, inizia a soffrire le pulsioni nazionali, Žižka torna ancora una volta sulla scena, ma da icona: viene elevato a furor di popolo a baluardo iconico dell’indipendentismo ceco. E si progetta una statua a lui dedicata. Verrà innalzata solo nel 1950.

La Boemia non dimentica affatto Žižka, anzi gli tributa i più grandi onori lungo i secoli. A metà Ottocento, negli stessi anni in cui l’Impero Asburgico perde pezzi del suo territorio a favore del nascente regno d’Italia, nella provincia boema dell’impero ribolle il sentimento nazionale ceco che, a caccia di simboli attorno a cui costituirsi, vede proprio in Jan Žižka la sua maggiore espressione. Nel 1882 nasce a Praga un’associazione con lo scopo dichiarato di erigere un monumento a Žižka sulla collina di Vitkov, nel 1912 viene emesso un bando per nominare l’artista che lo eseguirà, ma due anni dopo un certo colpo di pistola sparato a Sarajevo al petto dell’erede al trono asburgico Francesco Ferdinando cambia i piani dei praghesi, e di tutta l’Europa.

Nel 1918, sei anni dopo, i cechi si svegliano cittadini di uno Stato indipendente, la Cecoslovacchia, e con Praga capitale. È il frutto maturo di un sogno cotto a fuoco lento per generazioni e l’idea di celebrarlo ritorna in auge. L’associazione per il monumento a Žižka torna in attività, si fonde con un’altra che ha lo scopo di commemorare la resistenza militare durante la guerra, e di pari passo finalmente iniziano i lavori. Tra il 1927 e il 1933 viene completato il monumento alla base della piazza, ma ancora una volta per Žižka non basta il tempo. Non ci sono colpi di pistola, ma lunghi coltelli e il Reichstag di Berlino in fiamme che segnano l’arrivo sulla scena politica di Adolf Hitler e con essa le pretese tedesche sui Sudeti, la conferenza di Monaco e il caos totale del neonato stato cecoslovacco. Infine, nuovamente, la guerra.

C’era già un progetto depositato per il movimento equestre a Jan Žižka, disegnato dal professor Bohumil Kafka dell’Accademia di Belle Arti di Praga. È un bozzetto quasi definitivo, Kafka fa in tempo nel 1941 a farne un modellino ma muore pochi mesi dopo di appendicite. Finalmente, nel 1950, sotto il governo di Klement Gottwald, iniziatore della nuova Cecoslovacchia socialista, il progetto arriva a compimento. La statua equestre di Jan Žižka viene inaugurata il 14 luglio di quell’anno, nell’anniversario della sua più famosa battaglia, combattuta proprio su quella collina.

Controverso, come del resto tutti gli uomini che sono passati alla storia per la gloria militare, Žižka è ancora oggi un simbolo dell’identità ceca, un guerriero di Dio icona di un popolo di agnostici, eroe che Praga non rinnega.

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