L'onda infranta

di Fabio Turco

È la sera del 18 aprile 1966. Al Civic auditorium di Santa Monica si svolge la premiazione degli Academy Awards. Il quarantottenne regista cecoslovacco Ján Kadár riceve dalle mani di Gregory Peck il premio Oscar per il miglior film straniero, assegnato al suo Il negozio al corso (Obchod na korze), diretto insieme a Elmar Klos e uscito nelle sale cinematografiche l’anno prima. «Vorrei ringraziare gli amici americani per il sostegno dato al nostro film negli Stati Uniti. Questo Oscar rappresenta il più alto riconoscimento, non solo per noi personalmente, ma per tutta la nostra industria cinematografica», dichiara Kadár con voce tremante. 

Le sue parole racchiudono la soddisfazione per la consacrazione internazionale di un movimento – la Nová vlna, la Nuova onda – che da qualche anno sta rivoluzionando il cinema cecoslovacco e che, adesso, con quella statuetta, si lancia oltre i confini nazionali per farsi conoscere in tutto il mondo.

La locandina di Treni strettamente sorvegliati.

La locandina di Treni strettamente sorvegliati.

Il negozio al corso è ambientato nel 1942, durante l’occupazione nazista della Slovacchia. Un falegname riceve l’incarico di diventare il curatore del negozio di un’anziana signora ebrea. Il rapporto di profonda amicizia sorto tra i due verrà stravolto dal drammatico evolvere degli eventi.

Due anni più tardi sarà Jirí Menzel, altro esponente della Nuova onda, a ottenere l’Oscar per il miglior film straniero con Treni strettamente sorvegliati (Ostře sledované vlaky), tratto dal fortunato romanzo di Bohumil Hrabal. Anche questa pellicola vede il suo protagonista come un ingranaggio al cospetto della Storia. Ambientato anch’esso durante la Seconda guerra mondiale, narra la storia del giovane ferroviere Miloš, i cui timori, amori e speranze vengono spezzati dall’amara realtà del mondo circostante. Questo Oscar, e quello a Kadár-Klos, rappresentano il picco di un’epoca che si sarebbe chiusa repentinamente di lì a poco, travolta dalle contingenze della Storia. L’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’Unione sovietica e degli altri Paesi del Patto di Varsavia, avvenuta nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968, porrà fine all’effervescenza della Primavera di Praga, imponendo il ripristino dell’ortodossia in ogni ambito, compreso quello culturale. 

Le origini
Il cinema cecoslovacco del dopoguerra aveva espresso un primo acuto nel 1947 quando Sirena (Sirèna) di Karel Stekly si era aggiudicato il premio di miglior film al Festival di Venezia. Si era trattato però di un successo estemporaneo. Nel decennio successivo, caratterizzato da un’applicazione ortodossa dell’economia e della cultura comunista, gli unici titoli che riuscirono a emergere furono quelli di Jiří Trnka e Karel Zeman, maestri del cinema di animazione.

La situazione cambiò radicalmente all’inizio degli anni Sessanta in concomitanza con il XII congresso del partito comunista cecoslovacco, quando fu stabilita una serie di aperture nella vita culturale che permisero a un’intera generazione uscita dalla Famu, l’accademia di cinema e tv di Praga (Filmová a televizní fakulta Akademie múzických umění v Praze), di esprimere pienamente il proprio potenziale. Gli esponenti di questa generazione sono tutti più o meno trentenni: Vera Chitilovà, Miloš Forman, Jaromil Jireš, Jan Němec, Evald Schorm, Ivan Passer, Jirí Menzel. Alla scuola slovacca appartengono invece Stefan Uher e Jurai Jakubisko. Anche alcuni registi più anziani, come lo stesso Jan Kadár, vengono tuttavia inclusi nella Nová Vlna, pur senza aver seguito il percorso di formazione dei compagni più giovani.

Un mini-doc sulla Nuova onda (Film Qualia, Youtube).

Le nuove istanze riformatrici sono puro ossigeno per il mondo del cinema. Nascono gruppi artistico-produttivi che hanno la libertà di potersi fare concorrenza tra loro. Inoltre, l’industria cinematografica propone delle solide infrastrutture. A Praga, i giovani cineasti possono contare sul sostegno degli studi Barrandov, fondati nel 1921 dai fratelli Miloš e Vacláv Maria Havel, quest’ultimo padre del futuro presidente cecoslovacco e poi ceco Vacláv Havel. A Bratislava invece si trovano gli studi di Koliba, inaugurati nel 1949 ma sviluppatisi proprio negli anni Sessanta in concomitanza con l’esplosione della Nová vlna.

Il confronto con la nouvelle vague
Negli stessi anni, il cinema europeo sta vivendo un’altra rivoluzione, portata avanti dai “ragazzi terribili” della Nouvelle vague francese, movimento sorto a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta tra le fila degli autori dei Cahiers du cinéma, la più importante rivista cinematografica francese.

La Nouvelle vague e la Nuova onda sembrano percorrere vie parallele senza tuttavia toccarsi veramente mai, anzi spesso le due fazioni finiscono per scontrarsi, come quando Luc Moullet stronca i Diamanti della notte (Demanty noci, 1964) di Jan Němec, per la sua “estetica reazionaria”. Il più critico verso la Nová vlna è Jean-Luc Godard, che insieme a François Truffaut è probabilmente il membro di maggior spicco del cinema francese di quegli anni. Godard accusa Vera Chytilová di copiare il cinema di Arthur Penn o Michelangelo Antonioni, accostandola inoltre alla casa di produzione Paramount, malevolmente. In difesa della collega interviene Ivan Passer, che definisce il cinema prodotto da Godard come “piccolo borghese”.

Secondo lo scrittore ceco Antonin Liehm, citato da Peter Hames nel suo La nuova onda cecoslovacca, alla base dell’incomunicabilità tra i due mondi potrebbe esserci una chiave politica dal momento che molti cineasti francesi, seguaci del marxismo, cercavano di interpretare le opere dei loro colleghi dell’Est attraverso criteri che però non erano effettivamente marxisti. Va ricordato anche il carattere spontaneista della corrente cecoslovacca, che non si raccolse mai sotto un manifesto, a differenza dei colleghi francesi.

Qualche punto di contatto si trova nella volontà di entrambi i movimenti di rompere con gli schemi. Se per gli autori francesi il mezzo cinematografico doveva essere uno strumento atto a far riflettere lo spettatore, per i ragazzi della Famu il nuovo contesto storico permetteva di staccarsi dal retaggio del realismo socialista per raccontare in modo nuovo degli aspetti della società cecoslovacca, fino a quel momento rimasti nascosti. Decidono di farlo utilizzando un linguaggio nuovo, fresco e dissacratorio. Al centro della vicenda c’è spesso l’individuo, che in un modo o nell’altro finisce travolto dalla storia. La scena finale di Treni strettamente sorvegliati, in cui il ferroviere Miloš muore banalmente mentre cerca di sabotare un treno tedesco, può essere letta come una summa della Nova vlná, e in un certo senso anche come una triste premonizione di quello che sarebbe successo di lì a poco, con la fine della Primavera di Praga.

Spesso la scelta degli attori ricade su dei non professionisti a cui viene affidata l’improvvisazione della scena, aprendo il cinema a «un’invasione del reale nei suoi aspetti più crudi, accidentali e sconcertanti», come evidenziato dal critico cinematografico Roberto Turigliatto nel suo Nová Vlna. Cinema cecoslovacco degli anni ’60. Sotto questo aspetto il contrasto con la Nouvelle vague francese è totale, laddove la mano dell’autore-regista era fondamentale.

Gli autori
La prima pellicola riconosciuta come appartenente a questa nuova corrente è Il sole nella rete (Slnko v sieti) di Štefan Uher, del 1962. Per la prima volta vengono portati sul grande schermo temi come il suicidio, il libertinaggio, l’amore fisico tra adolescenti. Il linguaggio è ellittico, destrutturato, con lunghi silenzi. La novità è deflagrante. Il critico e regista Jaroslav Boč definisce Uher «il Giovanni Battista del cinema cecoslovacco». Dopo di lui seguiranno gli esordi di Verá Chytilová (Un sacco pieno di pulci, 1962) e Miloš Forman (L’asso di picche, 1963). La prima girerà nel 1966 il suo film più riuscito, la commedia surreale Le margheritine (Sedmikrásky), mentre il secondo proseguirà il suo percorso verso una luminosa carriera con Gli amori di una bionda (Lásky jedné plavovlásky, 1965), candidato al premio Oscar come miglior film straniero nel 1967.

I due autori più prettamente politicizzati, e quindi avversati dal regime, si riveleranno Jan Němec ed Ewald Schorm. Il primo realizza nel 1964 I diamanti della notte (Démanty noci), basato sul romanzo L’oscurità non ha ombra (Tmá nema stim) di Arnošt Lustig. I protagonisti sono due giovani evasi da un campo di concentramento nazista. La loro fuga è caratterizzata da tratti fortemente onirici al punto che lo spettatore è indotto a pensare che si tratti di più di una fuga da loro stessi. Un paio di anni dopo Němec dirige La festa e gli invitati (O slavnosti a ostech), uno dei film più potenti e caratterizzanti della Nová vlna. Un gruppo di ragazzi ritrovatisi per un picnic viene “invitato” a partecipare a una festa di compleanno lì vicino, e a quel punto il film si trasforma in una metafora sociale che critica ferocemente l’asservimento al potere. La pellicola, girata nel 1966 riuscirà a circolare per un brevissimo periodo solo durante la Primavera di Praga, prima di essere bandita dal regime comunista. Schorm invece è l’autore de Il coraggio quotidiano (Každý den odvahu, 1964), storia della disillusione di un militante comunista. Pur senza ricorrere all’arma della censura, il partito condizionerà fortemente la carriera del regista, che nella sua vita realizzerà meno di dieci film.

Secondo Peter Hames si possono ravvisare delle sottocorrenti, o meglio dire delle fasi, all’interno della Nová vlna. La prima è rappresentata dalla prima onda, che fu quella che portò alla rottura dal realismo socialista. A questa appartengono tutti gli studenti della Famu e i loro insegnanti (oltre a Ján Kadár, vi prendono parte František Vlácil, Ladislav Helge e Zbynek Brynych). Da questo gruppo si distaccheranno Forman, Passer e Papoušek, che influenzati dal neorealismo e dal cinema-verità, tenderanno a utilizzare un linguaggio più aderente alla realtà quotidiana. 

La fine
L’esperienza della Nová Vlna rientra a pieno titolo in quel processo di parziale destalinizzazione del Paese che, iniziato nei primi anni Sessanta, avrebbe portato nel 1968 alla Primavera di Praga. I temi e il linguaggio utilizzati dai suoi autori avevano l’obiettivo di criticare il potere costituito e di propagare la democrazia sociale. Per il potere comunista di stampo sovietico, che faceva del centralismo la sua colonna portante, ciò rappresentava una minaccia mortale. Fu così che l’intervento dei carri armati del Patto di Varsavia segnò di fatto anche la fine della Nová vlna. Un intero genere di film che negli anni precedenti era stato dapprima tollerato, finanziato, e in certi casi incoraggiato, venne improvvisamente bloccato. Molti dei registi cecoslovacchi si videro troncare la carriera, altri decisero di prendere la via dell’emigrazione. È il caso di Miloš Forman, che negli Stati Uniti costruì la sua fortuna con pellicole come Qualcuno volò sul nido del cuculo o Amadeus.

In Cecoslovacchia, almeno una decina di film in produzione verranno annullati. E anche da occidente scemò improvvisamente l’attenzione verso il movimento cecoslovacco, che come ogni onda che si rispetti andò a spegnersi a riva, lasciando quel malinconico dubbio su cosa sarebbe successo se la storia fosse andata diversamente. 

Miloš Forman: da Praga a Hollywood.

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