Speciale parlamentari slovacche 2023

A cura della redazione di Centrum Report

Cari lettori e care lettrici,

come saprete se avete seguito le puntate del nostro Václav Podcast, l’instabilità del governo slovacco ha portato allo scioglimento delle camere e alla convocazione di elezioni anticipate per rinnovare il parlamento dopo solo tre anni di legislatura. Si andrà alle urne sabato 30 settembre.

Abbiamo prodotto questo longform in quattro punti per fare un quadro di quello che ci aspetta. Abbiamo analizzato la situazione pregressa, approfondito partiti e coalizioni, confrontato i sondaggi e immaginato gli scenari a venire.

Insomma, abbiamo fatto tutto il possibile per rendere leggibili le elezioni che cambieranno il volto politico della Slovacchia, il più piccolo Paese della regione che ci interessa, ma non per questo meno capace di cambiare gli equilibri in Europa e soprattutto ai suoi margini.

Buona lettura!

L’edificio del Consiglio nazionale della Repubblica Slovacca, il parlamento di Bratislava (Wikipedia).


A che punto siamo

Tre anni complicati, segnati da litigi, scandali, dimissioni. Quello eletto nel febbraio 2020 doveva essere il governo del cambiamento, o perlomeno della trasparenza, dopo anni di malapolitica segnati dall’omicidio del giornalista investigativo Ján Kuciak e della fidanzata Martina Kušnírová, e culminati con le dimissioni del governo di Robert Fico.

Le speranze sono state presto disilluse. La coalizione guidata da Gente comune e personalità indipendenti (Ol’ano), partito uscito trionfatore alle urne, è naufragato dopo poco più di un anno. Si era in piena pandemia quando il premier Igor Matovič in accordo con l’allora ministro della Sanità aveva deciso di acquistare due milioni di dosi del vaccino russo Sputnik V senza consultare gli alleati. Il terremoto politico che ne è seguito, ha portato alle dimissioni di Matovič, rimasto però all’interno dell’esecutivo scambiandosi di ruolo con il ministro delle Finanze, Eduard Heger. Una mossa risultata indigesta agli alleati, specialmente a Richard Sulík, ministro dell’Economia, e leader di Libertà e Solidarietà (Saska).

Dopo aver chiesto per più di un anno all’ex premier di farsi da parte, Sulìk ha dapprima ritirato i suoi ministri dalla compagine di governo e infine ha tolto l’appoggio alla maggioranza. Era il 15 dicembre dell’anno scorso. La presidente della Repubblica Zuzana Čaputova aveva indicato a Heger di guidare un governo ad interim fino a nuove elezioni ma anche quell’esperienza si è rivelata fallimentare. A inizio maggio il governo è caduto, travolto dall’ennesimo scandalo interno, e la mano è passata al governo tecnico di Ľudovít Odor.

Il premier uscente, Ľudovít Odor, subentrato alla guida di un governo tecnico nel maggio scorso per traghettare il Paese fino alle elezioni anticipate del 30 settembre.

L’instabilità politica ha favorito il grande ritorno di Fico. Il leader populista di Direzione Socialdemocrazia (Smer-Sd) ha dapprima cavalcato le proteste per la gestione pandemica, per poi abbracciare una linea marcatamente filorussa in occasione dell’invasione dell’Ucraina. L’ex premier ha avuto gioco facile a soffiare sul fuoco del populismo, in un Paese da sempre abbastanza freddo nei confronti di Bruxelles ma incline a strizzare l’occhio a Mosca.

Il suo partito è dato in vantaggio dai sondaggi -ne parliamo più avanti- anche se nell’ultimo mese si è registrato il recupero di Slovacchia Progressista (Ps), partito di impronta liberale ed europeista guidato da Michal Šimečka. Saranno probabilmente il suo partito e quello di Fico a contendersi la conquista della maggioranza relativa, anche se per entrambi riuscirà molto difficile formare una coalizione, dato il panorama estremamente frammentato e litigioso della scena politica slovacca.


I protagonisti

Alle urne gli elettori si troveranno infatti di fronte ai simboli di ben 14 formazioni. Nel Paese della presidente della Repubblica Zuzana Čaputová, nessuna di queste è guidata da una donna, mentre addirittura quattro vantano un leader che è stato primo ministro dal 2018 a oggi. Segno di quanto la scena politica slovacca sia al tempo stesso tempestosa e tradizionalista nel riproporre ciclicamente i propri protagonisti principali.

Un’immagine dell’ultimo dibattito televisivo con i leader degli 8 principali movimenti in corsa (tutti uomini), trasmesso da TV Markiza il 25 settembre.

Cominciamo a scoprire i partiti in corsa, partendo da Direzione-Socialdemocrazia (Smer-Sd), che appare favorito per la vittoria finale. Fondato nel ‘99, da allora è stato al governo in due distinti periodi: dal 2006 al 2010 e poi dal 2012 al 2020. Nei 14 anni trascorsi da Smer-Sd al potere si sono succeduti tre esecutivi, tutti guidati dal suo allora e oggi leader, nonché fondatore, Robert Fico. Pur essendo nato da una scissione interna a quel Partito della sinistra democratica successore del Partito comunista slovacco, Smer-Sd ha subito assunto posizioni centriste, proponendo agli elettori una ‘terza via’ alternativa a destra e sinistra. Una strategia che ha spesso pagato alle urne, facendo gradualmente emergere istanze ultrapopuliste lontane dagli idealismi di partenza.

Durante la campagna elettorale appena conclusasi, Fico (a dispetto del fatto di dichiararsi di sinistra) ha spesso calcato sul tema dell’immigrazione illegale nel Paese, evocando gli spettri di terrorismo e malattie infettive. Ha reiterato inoltre le proprie accuse all’Ucraina di avere sterminato la popolazione russofona a partire dal 2014 e quindi provocato l’invasione russa, assicurando di voler immediatamente interrompere la fornitura di armamenti slovacchi a Kiev, qualora dovesse tornare a governare.

Spodestato dalla crisi politica e sociale di sfiducia nelle istituzioni successiva all’assassinio di Kuciak e Kušnírová, nel 2018, Fico è rimasto comunque in sella a Smer-Sd. Nonostante cinque anni fa l’ex premier fa fosse visto dai propri connazionali come il principale responsabile delle commistioni fra politica e malavita organizzata, oggi quello sdegno pare essersi affievolito.





Da non confondere con Smer-Sd, vi è Voce-Socialdemocrazia (Hlas-Sd), formazione nata da una scissione interna al partito di Fico nel giugno 2020. Anche la linea di Hlas-Sd si attesta su posizioni critiche nei confronti dell’appoggio slovacco a Kiev, per quanto meno dichiaratamente ispirate alla propaganda del Cremlino di quelle di Smer-Sd.  

Alla guida del partito vi è un altro ex primo ministro, Peter Pellegrini, classe ’75 dal bisnonno italiano. Era stato proprio Pellegrini a succedere a Fico, costretto alle dimissioni dopo le grandi proteste di piazza del 2018, e a traghettare la Slovacchia sino alle parlamentari del febbraio 2020. Poco dopo quel voto, conclusosi con una netta sconfitta per Direzione-Socialdemocrazia, Pellegrini si è smarcato dal suo ingombrante predecessore Fico e ha fondato Hlas-Sd.




Il terzo incomodo alle urne dovrebbe essere Slovacchia progressista (Ps). In questa tornata elettorale il partito corre da solo, dopo avere fatto parte della coalizione Insieme-Democrazia Civica (Spolu) alle parlamentari del 2020. I sondaggi della vigilia mostrano Ps in forte ripresa, dopo lo sprofondo di tre anni fa nel quale non conquistò un singolo seggio in parlamento. Quel risultato fu assai deludente, dato che Slovacchia progressista era stato addirittura il primo partito alle Europee dell’anno precedente. In politica interna Slovacchia progressista promuove valori liberali, difendendo ad esempio il diritto all’aborto, ed è l’unico fra i principali partiti presenti sulle schede elettorali a sostenere la causa ucraina, al punto da richiedere l’ingresso di Kiev nell’Unione europea.

Dal maggio 2022, Ps è guidato da Michal Šimečka, uno dei 14 vice-presidenti del parlamento europeo. Si tratta di un politico non ancora quarantenne (classe ’84), che ha studiato nel Regno Unito e si è affermato come giornalista nei primi anni 2000, prima scrivendo per il quotidiano slovacco Dennik Sme e poi per il prestigioso Financial Times. Come il nome del suo partito suggerisce, Šimečka ha posizioni progressiste e pro-europeiste. Anche lui in questi anni si è battuto a più riprese contro l’endemica corruzione nel Paese, senza mai assumere le derive populiste di altri leader di partito.

Il leader di Ps, Michal Šimečka, assieme alla presidente della Repubblica, Zuzana Čaputova, al parlamento europeo (profilo Fb di Šimečka).


Proprio la lotta alla corruzione è il cavallo di battaglia che nel 2020 ha permesso al movimento Gente comune e personalità indipendenti (Ol’ano), fondato nove anni prima, di aggiudicarsi la maggioranza dei voti alle parlamentari. Pareva l’inizio di un quadriennio al governo con un esecutivo guidato dal segretario del partito e neo premier Igor Matovič, ma le cose sono andate diversamente, come raccontato precedentemente..

Da allora i consensi per questa formazione sono evaporati. Eppure oggi resta Matovič a guidare la coalizione formata da Ol’ano, Unione Cristiana (Ku) e Per le persone (Zl). Vista dall’esterno, la scelta di continuare ad affidarsi all’ex premier come leader pare incomprensibile, dato che – a differenza di Fico – Matovič non ha riguadagnato la fiducia degli slovacchi. Forse anche per questo la sua coalizione appare lontana dai fasti del recente passato e rischia persino di non entrare in parlamento. 



Anche in Slovacchia come nel resto d’Europa avanza una formazione di estrema destra dalle derive neofasciste. Si chiama Republika (Rep), ossia Repubblica, e più che ai valori repubblicani i suoi esponenti si richiamano a quelli repubblichini. Il partito è nato nel 2021 per iniziativa di alcuni membri dell’altrettanto estremista Partito popolare Slovacchia nostra (L’Sns), che hanno rilevato e rinominato un minuscolo movimento della destra antisemita, Voce del popolo (Hlas Ludu). Stando agli ultimi sondaggi, Repubblica dovrebbe essere il quarto partito per numero di preferenze e si prepara quindi ad entrare nel prossimo parlamento di Bratislava. Molti politologi sono convinti che, in caso di affermazione di Direzione-Socialdemocrazia, potrebbe allearsi con il partito di Fico per formare il goerno.

Leader designato di Rep è il suo fondatore Milan Uhrik, parlamentare europeo under 40 e faccia rassicurante di una giovane destra neofascista, il cui volto campeggia nei cartelloni elettorali del partito sotto all’apparentemente innocuo slogan ‘Istoty’, ovvero ‘Certezze’. Fra queste certezze nel programma di Republika vi sono il rifiuto delle politiche ambientali e pro Lgbtq+ europee, oltre alla volontà di restare neutrali nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina. Uhrik vuole inoltre organizzare un referendum sull’appartenenza della Slovacchia alla Nato nel giro di quattro anni.



Un altro alfiere dell’estrema destra, che condivide vari punti della propria retorica con Rep è il Partito nazionale slovacco (Sns). La sua storia comincia nel dicembre 1989 con la disgregazione dell’allora Cecoslovacchia socialista e riprende le istanze dell’omonima formazione nazionalista slovacca attiva fra le due guerre mondiali. Dopo i successi elettorali dei primi anni ’90, Sns ha goduto di alterne fortune, entrando e uscendo dal parlamento di Bratislava. Nel voto del 2020 il partito capeggiato da Andrej Danko non ha superato lo sbarramento del 5%. Questa volta potrebbe riuscirci, al termine di una campagna elettorale in cui ha fatto leva su attitudini ostili nei confronti delle minoranze rom e magiare nel Paese e sulla riproposizione della propaganda anti-Nato di Mosca.



Nei ruggenti anni ’90 il Movimento cristiano democratico (Kdh) era uno dei principali partiti slovacchi, capace di convincere un elettore su quattro nelle parlamentari del ’98 seppur all’interno di una coalizione. Un quarto di secolo dopo, le prospettive della formazione del segretario Milan Majerský sono assai diverse. Nel 2020 Kdh ha solo sfiorato l’agognato sbarramento del 5%, senza raggiungerlo, e oggi si ritrova nel medesimo limbo. Il rimando ai valori democratici di un cristianesimo europeista esercita scarsa attrazione sui pur cattolici slovacchi. Tuttavia, l’appoggio alla causa di Kiev contro l’invasione russa e il sostegno all’adesione dell’Ucraina alla Nato potrebbero essere sufficienti per migliorare il risultato di tre anni fa e rientrare nel parlamento di Bratislava.



Anche Siamo una famiglia (Sme Rodina) oscilla attorno al 5% nei sondaggi della vigilia. Alleato di Ol’ano nella breve esperienza da premier di Matovič, il partito non ha fatto parte dei successivi governi Heger e Ódor. Oggi le sue posizioni conservatrici sui temi sociali lo avvicinano a Direzione-Socialdemocrazia e a Voce-Socialdemocrazia. In politica estera, invece, le cose cambiano e si fanno confuse con il convinto sostegno all’invio di armamenti all’Ucraina, ma anche con la richiesta di assecondare i voleri di Mosca e pagare in rubli le forniture di gas russo. Il rischio è che il partito di Boris Kollár possa pagare alle urne queste contraddizioni, con i suoi potenziali elettori più attratti dalla proposta populista di Smer-Sd e Hlas-Sd oppure da quella liberale di Slovacchia progressista.



Un altro partner del fallimentare governo Matovič fra 2020 e 2021 è stato Libertà e Solidarietà (Saska) fondato nell’ormai remoto – per standard politici slovacchi, s’intende – 2009. Poi l’uscita del partito dal successivo esecutivo di Eduard Heger ha determinato la crisi politica che ha portato al governo tecnico ad interim di Ľudovít Ódor e quindi alle parlamentari anticipate alle porte. Liberale e progressista sui diritti delle donne e delle persone Lgbtq+, il programma elettorale di Saska potrebbe fare presa sugli abitanti di Bratislava e dei maggiori centri urbani. Eppure appare molto difficile che il partito, guidato dall’economista Richard Sulik, possa ritagliarsi di nuovo un ruolo al governo, sempre ammesso che riesca a restare in parlamento dopo il voto.



Chiude questa panoramica una cinquina di partiti destinati a restare sotto lo sbarramento, salvo clamorosi exploit.

La formazione dalla storia più recente fra quelle presenti alle urne è anche quella dal nome più bizzarro. I Blu, Ponte (Modrí, Most–Híd) rappresentano appieno i continui e talvolta cervellotici cambiamenti di denominazione partitica della scena politica nazionale. Fondato nel maggio 2023, il partito nasce da una scissione, quella decisa dal suo leader Mikuláš Dzurinda nei confronti dell’allora coalizione Spolu. All’interno di questa nuova piattaforma liberalconservatrice trova posto anche un partito storico della minoranza magiara: Most–Híd. Difficile conquistare molti voti partendo da zero, ma il potenziale per una futura crescita nei consensi pare esserci, a patto che I Blu restino assieme.

I Democratici (D) esistono da cinque anni e oggi, in una nuova configurazione, sono presieduti dall’ennesimo ex premier in ballo, Eduard Heger. Anche loro facevano parte della defunta coalizione Spolu. Qualora dovesse nascere una coalizione politica di opposizione anti Fico, i Democratici sono candidati a farne parte, ma per ora la loro proposta liberale-moderata non pare incontrare grossi riscontri fra i connazionali.

Del Partito popolare Slovacchia nostra (L’Sns) abbiamo già accennato. In questa tornata elettorale, il movimento antisemita e neonazista fondato e presieduto da Marian Kotleba dovrebbe tuttavia essere scavalcato a destra dai consensi e dalla retorica incendiaria-populista di Rep e Sns.  

Infine, sia Alleanza (Ali) che Forum ungherese (Mf) danno voce alla minoranza magiara in Slovacchia, che nel censimento 2021 sfiorava il mezzo milione di persone. I due partiti non saranno comunque in grado di intercettare i voti di tutti gli slovacchi di origine ungherese, che rappresentano l’8,4% della popolazione totale del Paese.


L’andamento dei sondaggi in vista delle elezioni slovacche. Smer-Sd in testa, tallonato da Ps. (via www.politico.eu)

I possibili scenari

Come accennato in precedenza, a fare la parte del leone nei sondaggi è l’ex premier Robert Fico con la sua formazione nominalmente (e solo nominalmente) socialdemocratica Smer-Sd. Ha governato la Slovacchia per 14 anni fino al 2020, gode oggi del 21% dei voti ed è il primo partito dichiarato dai cittadini nei sondaggi. Certo non delle preferenze schiaccianti, ma numeri sufficienti a conquistare la maggioranza relativa nel frantumato scenario politico di Bratislava. Smer-Sd veniva da percentuali di gradimento molto basse. Come abbiamo scritto, la carriera di Fico sembrava finita dopo l’omicidio Kuciak e le sue dimissioni da premier. Nel 2020, i sondaggi lo davano al 10% scarso dei consensi.

Fico però è un politico di razza, è riuscito a mantenersi al timone del partito e ha saputo interpretare con cinismo la parte di leader dell’opposizione. Cavalcando tutti i malumori e i dubbi degli slovacchi nei confronti dei governi di Matović ed Heger, ha mantenuto viva su di sé l’attenzione dei media e ha vinto la sua scommessa. Ad aprile del 2021, Smer-Sd era il quarto partito nei sondaggi e poteva ambire al massimo al ruolo di stampella di un futuro esecutivo. Oggi invece, Fico si avvicina alle urne con la consapevolezza che spetterà a lui il ruolo di mazziere nella prossima partita di governo.

Il partito dell’ex premier riscuote ora i consensi che un anno fa erano del suo rivale Hlas-Sd, fondato da Peter Pellegrini come scissione proprio da Smer-Sd, quando sembrava che il partito fosse destinato a sparire dalle scene. Pellegrini aveva scommesso tutto sulla morte politica del suo predecessore, ma ha sottovalutato la resistenza di Fico e oggi si trova in difficoltà. Nonostante abbia provato a mostrarsi come la faccia politica e non corrotta dei socialdemocratici slovacchi, Pellegrini non ha convinto granché al di fuori dell’elettorato naturale del suo partito di provenienza. È rimasto in testa mentre la stella di Fico era in ombra, ma da quando quest’ultima ha ricominciato a brillare le posizioni si sono invertite. Se si fosse votato nel 2021, Pellegrini sarebbe ridiventato premier in carrozza, ma oggi gode solo del 14% dei consensi e al massimo può ambire a un ruolo di alleato scomodo in un esecutivo a guida Fico.

Tra Fico e Pellegrini non c’è simpatia, ma è anche vero che la scissione tra Smer-Sd e Hlas-Sd ricorda un po’ il famoso meme dei due Spiderman che si accusano a vicenda. Le posizioni sono simili e l’elettorato anche. Se superassero le frizioni personali, i due ex-premier potrebbero guidare insieme la maggioranza. Anche perché, l’ondata di voto di protesta anti-corruzione che sembrava avere mandato in soffitta Fico si è clamorosamente spenta.

Igor Matović, che aveva vinto le ultime parlamentari tuonando contro il malaffare, si è dimostrato non all’altezza del ruolo che gli elettori gli avevano assegnato. E gli stessi elettori gli hanno presto tolto la fiducia. I sondaggi del suo partito, Ol’ano, sono in caduta libera da tre anni. Fino al 2020, avrebbe votato per Ol’ano il 20% degli slovacchi, oggi lo farebbe appena il 7%. Considerando il margine di errore statistico e la soglia di sbarramento, che si trova al 5%, il rischio che il partito che ha dominato la scorsa legislatura non entri in parlamento è piuttosto serio.

Una sorte che capiterà verosimilmente al premier uscente Eduard Heger. Eletto anche lui nelle liste di Ol’ano, è stato ministro delle Finanze nel governo Matović, poi è diventato premier a sua volta dopo lo scandalo vaccini, e ha guidato l’esecutivo nella sua fase conclusiva finendo sfiduciato dal parlamento. Da marzo 2023, con la speranza di mostrarsi come il volto affidabile e rassicurante del nuovo corso politico, Heger si è messo alla testa del partito Democratici, ma la scommessa per ora sembra ben lungi dall’essere vinta. Tra marzo e settembre, i consensi mostrati dai sondaggi sono rimasti tra il 2 e il 3%.

È invece in forte risalita il trend di Slovacchia Progressista, il partito liberale ed europeista da cui proviene anche la presidente della Repubblica, Zuzana Čaputová. Come accennato nel punto precedente, Ps viene da una cocente delusione elettorale alle ultime parlamentari, ma i sondaggi lo danno in crescita costante. A luglio ha superato i consensi di Hlas-Sd e oggi è il secondo partito del Paese, l’unico con qualche speranza di contendere la maggioranza relativa a Robert Fico e i suoi.

Questo a meno che, come suggerito da molti osservatori, Fico non trovi un’acrobatica alleanza con il partito Republika, raggruppamento dai tratti neofascisti. Nonostante sia nato solo due anni e mezzo fa, è stato capace di cannibalizzare l’estrema destra slovacca e alle elezioni potrà godere verosimilmente dell’8% dei voti degli slovacchi. Una quota sufficiente a entrare in parlamento come quarta forza e a proporsi come scomodo alleato del futuro governo Fico, con il quale condivide molte delle posizioni di politica internazionale.

Nonostante le apparenze, il risultato di Republika non è un exploit dell’estrema destra in Slovacchia, al massimo un suo travaso. Esattamente simmetrico al suo successo, infatti, si vede il tracollo di L’sns, il partito di Marian Kotleba che al suo picco aveva raggiunto il 9% dei consensi - quelli attuali di Republika - mentre oggi racimolerebbe poco più del 2% dei voti rimanendo fuori dal parlamento di Bratislava.

Le restanti forze politiche ballano tutte intorno al 5% della soglia di sbarramento o si trovano molto al di sotto. Non ha suscitato l’effetto sperato il ritorno in politica (poi parzialmente ritirato) dell’ex premier Dzurinda, il volto più chiaro della Slovacchia europeista e pro-occidentale, l’uomo che aveva portato il Paese nell’Unione europea e nella Nato. La lista che ha patrocinato forse paga la sua giovinezza, ma stenta a superare l’1% dei consensi. I voti dell’elettorato europeista sono, a quanto pare, tutti per Slovacchia Progressista.

Infine si segnala un problema endemico, comune a tutta l’area dell’Europa centro-orientale con la nobile eccezione della Polonia: anche in Slovacchia, i sondaggi dimostrano che lo spazio per una sinistra di tipo occidentale che unisca l’attenzione verso le lotte sociali a quella per i diritti civili è pressoché inesistente.


Che cosa cambierà?

Dal palco del quinto Vertice demografico di Budapest svoltosi a metà settembre, con la premier italiana Meloni ospite d'onore, Viktor Orbán ha raccontato la seguente freddura di humor ungherese: «Siamo in Ungheria, nel soggiorno della casa di una coppia di mezza età. A un certo punto la moglie sbotta verso il marito: ‘Sono 30 anni che non mi dici più che mi ami’. E lui: ‘Cara, da quella volta i miei sentimenti non sono cambiati. Quando cambieranno ti avviserò’. Orbán ride e afferma che l'Ungheria ha una voce sola e quando prende una posizione rimane ferma, la mantiene sicura senza indecisioni.

Dall’invasione dell'Ucraina, l’Ungheria è stato l'unico Paese dell'Ue a mantenersi fermo nella sua posizione avversa alle sanzioni alla Russia e all'invio di armi in Ucraina, in nome della pace e dell'interesse nazionale. La futura Slovacchia le si potrebbe affiancare laddove dovesse uscire vittorioso dalle elezioni l'inossidabile Robert Fico, chiaramente schierato sulle stesse note "pacifiste" di Orbán. Si tratterebbe di una spettacolare inversione di rotta di un Paese che finora è stato uno dei più accesi sostenitori del sostegno all'Ucraina aggredita (a cui ha fornito jet Mig-29 e sistemi difensivi  S-300) e un segnale che l'umore dei cittadini europei sta cambiando e inizia ad affiorare una certa stanchezza della guerra, incrinando l'unità che l'Ue aveva finora mostrato.

È questa la principale posta in gioco nelle elezioni politiche di una piccola nazione di cinque milioni di abitanti, che potrebbe  però mettere pressione alla Nato e all’Unione europea, bloccandone anche il processo di allargamento rilanciato negli ultimi tempi. Il voto potrebbe poi fare da innesco per le parlamentari nella vicina Polonia, che arriveranno ad appena due settimane di distanza, ricostituendo un gruppo di Visegrád, imploso allo scoppio della guerra. Un’intesa che riprenderebbe a trazione conservatrice la sua compattezza nelle battaglie contro i valori occidentali, il pensiero woke, l'ideologia gender, le politiche migratorie comunitarie e le élite liberali. Un ottimo trampolino in preparazione alla sfida delle europee del prossimo anno verso cui le destre affilano le armi.

In attesa del 2024, le elezioni slovacche saranno anche un test sull'efficacia della campagna mediatica di disinformazione orchestrata dalla Russia per turbare le elezioni in Paesi stranieri; in questo caso anche avendo gioco facile e sfruttando i sentimenti filorussi e panslavisti presenti in certe fasce della popolazione. Comunque vada a Bratislava, il risultato elettorale sancirà nuovamente l'importanza, per contenere derive populiste, del sistema elettorale, che in Slovacchia spinge a una frammentazione dell'arco politico e alla necessità di formare governi di coalizione.

In virtù di ciò, l'eventuale ritorno di Fico, che si credeva politicamente morto, non farà comunque riapparire vecchi fantasmi del nazionalismo centroeuropeo, che si pensavano sopiti da anni.

La campagna elettorale ha portato l’ex premier e leader di Smer-Sd, Robert Fico, in luoghi inconsueti. Foto tratta dal suo profilo Facebook.

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